lunedì 3 ottobre 2022

Come è profondo il mare


Ieri ho scritto un post in cui difendevo Rula Jebreal, di cui avevo letto un tweet che parla di Giorgia Meloni. Il tweet era il seguente:

"La Meloni non è colpevole dei crimini commessi da suo padre, ma spesso sfrutta i reati commessi da alcuni stranieri per criminalizzare tutti gli immigrati, descrivendoli minaccia alla sicurezza. In una democrazia ci sono responsabilità individuali, NON colpe/punizioni collettive".

Le parole trascritte mi appaiono un'impeccabile critica alla cultura della nuova destra sovranista, che fa, è il caso di dirlo, di ogni erba un fascio. Ma se ribaltiamo la prospettiva nel modo suggerito dalla Jebreal, quella disposizione sommaria può rivolgersi contro a chi la esercita, secondo un altro celebre proverbio per cui chi di spada ferisce di spada perisce.

Jebreal mostra così che la spada dei sovranisti è di plastica, e l'avere avuto un padre che ha commesso gravi reati non rende, automaticamente e a prescindere dai rapporti (Meloni non rivolge la parola al proprio padre da molti anni), colpevole anche te. Come i crimini compiuti da uno o più extracomunitari non sono trasferibili a tutti gli extracomunitari, le responsabilità sono individuali, perfetto, ottimo paragone e ottimo ragionamento. Brava Rula!

Scopro però solamente ora che la stessa giornalista israelo-palestinese ha scritto un altro tweet, non so se sia venuto prima o dopo. Trascrivo anche questo:

"Durante la sua campagna elettorale la nuova premier italiana ha diffuso un video di stupro insinuando che i richiedenti asilo siano criminali che vogliono sostituire i cristiani bianchi. Ironicamente, il padre della Meloni è un noto trafficante di droga/criminale condannato che ha scontato una pena in un carcere spagnolo."

Parole che sembrano negare lo spirito delle precedenti. Se nelle prime lo slittamento sulla base di qualche pretestuosa analogia – per affinità alla linguistica l'ho chiamato metonimia – veniva destituito dalla colpa, qui sembra essere ripristinato quel nesso mitologico. A ciò si aggiunga un'ignobile pratica anch'essa derivata dalla retorica classica, in cui prende il nome di argomentum ad hominem: per contrastare gli argomenti attacco la persona che li esprime, la sua famiglia, merda ovunque.

Ma qual è allora la "vera"Jebreal: quella che finemente decostruisce, con spirito illuminista, la sottocultura superstiziosa e medievale della nuova destra (Dio, Patria e famiglia, ma è il Dio geloso occhiuto che fa ricadere sui figli le colpe dei padri per quattro generazioni), o quella che dello stesso pensiero si fa violenta espressione, rimarcando un atteggiamento ideologico che già le abbiamo visto assumere in altre occasioni, ideologico e permaloso? Colpo finale di teatro, infatti, Jebreal conclude che chi la critica lo fa per via del colore della sua pelle.

Non so rispondere. Di più: non lo voglio sapere, non mi interessa, non dovrebbe interessare nessuno. Prendiamo le parole buone che ci offre, quando arrivano e senza chiederci da quale ispirata fonte – San Tommaso suggerisce l'esistenza di un "intelletto potenziale", che talvolta si attiva anche negli sciocchi –, e usiamole per pensare, per affinare la nostra idea di mondo. Ma restituiamo quelle cattive al mittente: no, grazie, queste scemenze te le tieni per te. Che il cielo è sempre più blu, e anche il mare, blu e tanto più profondo di me, di te che stai leggendo e di Rula Jebreal. Come è profondo il mare...

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