Non entro nel merito del processo al figlio di Beppe
Grillo, Ciro, accusato dello stupro di una studentessa diciannovenne insieme a
tre amici, tutti più o meno della stessa età della vittima oltre che rampolli
della buona borghesia genovese; particolare che non me li rende troppo
simpatici, confesso. La mia antipatia, a pelle, per gli imputati, mi
renderebbe così poco attendibile; a ciò si aggiunga la scarsa conoscenza
della vicenda avvenuta nell’estate del 2019, e più in generale del Codice di procedura
penale.
Proviamo allora a guardare alla materia da una
prospettiva diversa. Il procuratore capo del Tribunale di Tempio Pausania, Gregorio
Capasso, ha appena richiesto una pena detentiva di nove anni, che oltre ad
apparire particolarmente consistente solleva una questione filosofica. La ricaviamo
dalle motivazioni: le condizioni (verosimilmente alcoliche) della vittima le
impedivano di esprimere il proprio consenso; detto in altre parole, non era
cosciente di cosa stava facendo. E quattro figli di papà che scopano a turno una ragazza ubriaca fanno schifo. Questo possiamo anche dirlo, la condanna estetica non ha bisogno di tre gradi di giudizio.
Però l'accusa rilancia questioni antiche e mai risolte – lo stesso la difesa, beninteso –, e mi chiedo se la specie a cui apparteniamo disponga di
qualcosa come un rilevatore di coscienza… Intendo: come faccio a sapere se
un'altra persona, in quel preciso momento, è cosciente oppure no? A ben vedere,
è lo stesso dubbio etico che si sta dischiudendo con l’intelligenza
artificiale.
Certo, nel caso di una ragazza ubriaca degli
indicatori esistono eccome (andatura pencolante, voce strascicata etc.), ma il
punto esatto di quel confine è sempre discrezionale; per altro, se è
discrezionale nella vittima deve esserlo anche negli accusati, tanto che nel
diritto ciò rappresenta un’attenuante alla pena, fino al suo completo stralcio
perché non in grado di intendere e di volere.
Ma anche questa formula, che abbiamo sentito centinaia
di volte, sottende una visione fin troppo ottimistica delle competenze
psichiatriche, che dovrebbero dirimere la materia. E ciò perché non esiste una
teoria generale della coscienza – in realtà ne esistono molte, ma in conflitto
tra loro.
L’unico modo per uscirne sarebbe
quello di fare sottoscrivere un’autocertificazione di coscienza; un modulo da compilare prima di ogni
transazione umana, non necessariamente sessuale: “Io, Tal dei Tali, sono
cosciente delle mie azioni, anche tu lo sei e intendi ricambiare il bacio che
sto per darti?” Non vi fa venire in mente qualcosa… Massì, la frase rituale
pronunciata dagli sposi sull’altare. Un modo di procedere nemmeno tanto
estremo, nei college americani già si stanno attrezzando.
Certamente utile nelle controversie giudiziarie, questa eventuale dichiarazione non ci direbbe però ancora nulla sulla natura della coscienza, dal momento che oltre a esistere la menzogna una persona incosciente, per definizione, non è cosciente nemmeno della propria incoscienza, e in tal caso potrebbe sottoscrivere qualsiasi cosa.
Per tornare alla filosofia, ricorda il celebre paradosso di Epimenide, nato a Cnosso nel VI secolo a.C. Il quale affermava: Tutti i cretesi mentono. Ma se mentono, mentirà anche Epimenide, e questa frase è falsa. Allo stesso modo, se le persone incoscienti pensano di essere coscinenti, chi ci dice che una persona che si dichiara cosciente non sia invece incosciente?
Si dovrebbe allora concludere, con Pascal, che il cuore possiede delle ragioni che la ragione non conosce. E figurarsi il pisello, organo ampiamente mutevole nelle dimensioni quanto nelle intenzioni.
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