Mi ricordo che girammo tutta Bologna per trovarla. Stavamo su una BMW 318 bianca con i finestrini spalancati, sull’autoradio girava una cassetta di Claudio Baglioni, l'aria quasi fresca dei primi giorni di settembre faceva dei piccoli mulinelli prima di sbattere sulla faccia abbronzata, molto abbronzata.
Entrambi avevamo passato più di tre mesi sulla spiaggia di Lacona: lui,
Stefano, come insegnante di wind surf, io come aiuto bagnino; per essere
onesti, il mio ruolo si limitava ad affittare i pedalò e a pulire con una
spugna i piattelli degli ombrelloni. Va da sé che le ragazze più belle fossero
tutte per Stefano, anche se devo dire che io ero nettamente più carino. Ma,
oltre allo status inferiore, avevo una brutta grana: ero ancora vergine.
"Sei ancora vergine... Dio bon, chè a gh'è da fèr!" aveva
sbottato Stefano quando glielo avevo confessato, per quanto a sedici anni a
me non sembrava tanto strano. I miei amici, almeno, erano nella mia stessa
condizione, tranne uno che si era messo con una ragazza più grande; avevano
affittato una cantina con un materasso a terra, dove facevano le cose. Noi ci
arrangiavamo con i giornaletti di Ilona Staller.
Tutti argomenti che Stefano non voleva nemmeno stare a sentire, chè a gh'è da
fèr continuava a ripetere, chè a gh'è da fèr. Quindi aveva concluso
con tono perentorio: "A-gh pèins mé."
Ma facciamo un passo indietro. Avevamo lasciato l'Isola d'Elba la mattina
con un traghetto della Navarma, il viaggio in autostrada a bordo della
Cinquecento color pomodoro di Stefano, con il tettuccio rotto che tenevo chiuso io con una mano – la BMW l’aveva
lasciata a Cento, dove viveva assieme ai genitori. Il programma prevedeva che
avrei dormito a casa loro e la mattina successiva sarei ripartito in treno per
Sondrio, con una breve digressione milanese per il concerto della PFM.
L’estate appena trascorsa verrà ricordata per le prodezze di Paolo Rossi, ma, nella stessa squadra che allo stadio Bernabéu vinse i campionati mondiali di calcio, c’era anche un giocatore diciottenne con dei grandi baffi neri, forse per l’aspetto precocemente adulto veniva chiamato Zio. Stefano era l’esatto opposto di quel giocatore, eterno nipote in tutto aveva l'espressione di Gatto Silvestro nell'avvicinarsi alla gabbietta di Titti. Chè a gh'è da fèr, e terminati i tortellini preparati dalla madre eravamo montati sulla BMW alla volta di Bologna.
Ma perché proprio Bologna?
Fu la prima cosa che gli chiesi. E a mezze parole, anche perché non capivo
benissimo il dialetto emiliano, intesi che a Bologna si trovava una di quelle
anziane prostitute che venivano definite nave scuola. “Tótt ché a-gh sàn
pasè” assicurava Stefano con un mezzo ghigno, come se già pregustasse il
piumaggio biondo di Titti.
Ma perché proprio lei? lo incalzavo. In fondo stiamo parlando del lavoro
più vecchio del mondo, oltre che tra i più diffusi. Un po' riluttante, voleva
farmi una sorpresa, Stefano mi rivelò così la ragione della sua fama, per cui
arrivavano fin dal Veneto. Dopo essere salita in auto, Wanda, non ricordo il
nome ma chiamiamola a questo modo, come in una canzone di Paolo Conte, Wanda si
toglieva la dentiera e la poggiava sul cruscotto. Quindi cominciava a fare con la bocca ciò
che si fa in queste circostanze.
Non so se fosse compresa anche la presenza di Stefano quale pubblico, ero
già talmente spaventato che non ho osato chiedere, ma è improbabile che avrebbe
ceduto l'auto a un sedicenne, perdipiù vergine. Senza aggiungere altro
cominciammo a cercare Wanda.
Per quasi due ore girammo per i luoghi che lui conosceva bene. Rotonde,
slarghi, viali periferici alberati. Le insegne illuminate dei distributori
sembravano uscite da un dipinto di Edward Hopper. Di tanto in tanto qualche
nero (a Sondrio erano ancora una rarità) traversava la strada dinoccolato,
mentre gruppi di ragazzi si saldavano attorno a un grumo di nulla. Ma di Wanda
nessuna traccia.
Iniziava a farsi sentire la stanchezza del viaggio dall’Isola d’Elba, io avevo il braccio anchilosato per via del tettuccio. Ci
fermammo a un chiosco e ordinammo due piadine e tre lattine di Peroni. Perché
tre? “Sà mo mai ch'a la catén la fémma”, aveva risposto Stefano non ancora
rassegnato. "Vôt brîsa dèrgh da bèver?" Ma poi eravamo montati sulla
BMW e tornati a Cento. Avrai, avrai, avrai, le parole di Baglioni
suonavano ora come una burla.
Ogni tanto mi capita ancora di pensarci, tipo quei film in cui vengono
messi in scena dei futuri ipotetici. Intendo: nel cono di luce di un lampione,
ecco, all'improvviso compare Wanda. È proprio come me l’ero immaginata, non
troppo alta, rotondetta, seno tra il grande e l’enorme. Nei capelli tinti di
rosso si intravede la ricrescita bianca, il ginocchio destro è sbucciato come
accade ai bambini quando cascano dalla bicicletta. Fingiamo di non accorgerci
di niente e la facciamo montare sui sedili posteriori, dove la raggiungo.
Non servono tanti convenevoli, sa benissimo perché Stefano le ha portato il
suo giovane amico, e così si leva in slow motion la dentiera e mi sorride
dischiudendo un cratere di mucose. Poi però sembra indugiare, deve avere
intuito il mio terrore. “Dâi, putlèn” mi sussurra all'orecchio, “làset andèr…”
e quasi quasi le do retta. Ma con uno scatto inatteso cala in picchiata, e come
una lumaca mi ritiro nel mio guscio, la natura reagisce al pericolo sempre
nello stesso modo: fuga o attacco. Nelle condizioni attuali non passerei il
casting per uno di quei giornaletti con Ilona Staller, non ho nemmeno la scusa
che fa freddo.
Mi scuoto dalla fantasticheria, ma non so se rallegrarmi oppure essere
dispiaciuto per il diverso corso delle cose; la prima vera volta è stata con
una ragazza di cui ero innamorato perso, non con una prostituta sdentata con
quarant’anni, facciamo pure cinquanta più di me. Il mulino bianco ha trionfato.
Da dove allora questo sentimento di malinconia? È come se un dio dispettoso
avesse infranto il neon del lampione di Wanda, un colpo di fionda ben assestato
a cui è seguito il buio, l'ombra ha risucchiato un pezzo di mondo che è rimasto
potenziale. Non è importante se sarebbe stata festa o più verosimilmente
squallore. Era la mia vita, che cavolo! E per averla indietro la posso solo
raccontare.
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