Mi ricordo la frattura di ulna e radio nella notte tra
lunedì 31 dicembre 1974 e martedì primo gennaio 1975; non il dolore, ma un
ragazzo alto, riccio con un forte strabismo, somigliava a Jimmy il Fenomeno
senza però nulla di fenomenale; un gatto aveva attraversato la strada
all'improvviso mentre andava, o tornava, da una festa di capodanno con la sua
Kawasaki, e ora si trovava nella sala di attesa del pronto soccorso con i jeans
lacerati in ampio anticipo sulla moda; mi ricordo che un infermiere gli aveva offerto
un bicchierino di carta con un po’ di spumante, a me dell’aranciata Fanta:
“Siete i primi pazienti dell’anno” aveva detto in un modo per cui
istintivamente ci eravamo girati uno verso l'altro, una specie di sorriso
dentro gli occhi, non fu facile intercettare la spericolata traiettoria dei
suoi; mi ricordo l’odore mentolato dell’anestetico e la mascherina di
plastica trasparente, l’ortopedico che mi dice di contare, fallo più piano
ometto, piano... uno… due… tre… quattro… cinque… non credo di essere arrivato a
sei, prima che l'abbaglio lattescente della lampada chirurgica dileguasse in sogno ; mi ricordo il passaggio di consegne tra la luce dei neon e quella
naturale, ogni giorno un piccolo minuto in più di sole la mattina e uno la
sera, mi ricordo che era un argomento di conversazione tra i malati,
insieme all'enumerazione dei parenti con relativa carriera professionale; mi
ricordo quando nel pomeriggio arrivava il nonno con il suo cappelletto di velluto a
coste, oppure la mamma con un profumo agrumato poco indicato alla
stagione, più raramente il papà, e la prima cosa che dicevo non era ciao
ma li hai portati?; mi riferivo agli albo a fumetti con le storie
degli eroi Marvel, il mio preferito era l’Uomo Ragno, ma trovavo il costume di
Capitan America molto più elegante; mi ricordo l’eleganza del pigiama Calida
con il collo a barchetta, era di una tinta affine a blusa e pantaloni (se
questi erano blu il collo era azzurro, e viceversa), ripreso nella bordatura
del taschino dove infilavo lo spazzolino da denti al ritorno dai bagni; potevo
indossarlo tutto il giorno senza che qualcuno mi dicesse svelto, togli
il pigiama che devi andare a scuola!; mi ricordo la neve sporca fuori dai
finestroni metallici dell'ospedale di Sondrio, la immaginavo tiepida – e sì che
conoscevo la sensazione delle mani violacee dopo le battaglie a palle di neve
–, tiepida e della consistenza del purè che ci veniva servito tutti i giorni
insieme a una fettina di emmental e del prosciutto cotto; mi ricordo il giro serale dei medici, a quell'ora in tivù stava terminando la puntata
quotidiana di Zorro, si udivano arrivare
dallo scalpiccio degli zoccoli del dott. Scholl lungo il corridoio: davanti il
primario attempato e mezzo calvo, di seguito i giovani medici – tutti maschi –
e in coda le infermiere – tutte femmine; si vede che gli infermieri maschi sono
addetti alla Fanta e allo spumante, mi ricordo ancora di avere pensato; mi
ricordo le infermiere quando ritornavano a prenderci la temperatura, si sussurravano delle cose tra loro, ogni tanto riuscivo a cogliere qualche parola, si
riferivano ai giovani medici (mai al primario mezzo calvo) con lo stesso tono che lo zio e
il papà utilizzavano, in assenza delle mogli, parlando di Ursula
Andress e Zeudi Araya; mi ricordo il gesso ancora umido partire da sopra il
gomito e fare un'ansa di novanta gradi, le firme degli amici sarebbero arrivate
a breve; c'era sempre qualcuno, questo me lo ricordo bene, di solito si
trattava di un lontano cugino che già frequentava le scuole medie, invece della
firma disegnava un cazzo, poi trasformato in pesce convertendo in pinne i
testicoli; mi ricordo il prurito contrastato con un ferro da maglia e poi
nient'altro che effimero piacere; mi ricordo suoni, le sirene delle ambulanze,
lamenti, il cigolio dei carrelli con i farmaci e lo sfigmomanometro, lo
scrosciare dell'urina nei pappagalli nel corso della notte; mi ricordo la frase
“è morta” pronunciata senza alcuna inflessione da una voce maschile dietro una porta socchiusa, si intravedeva solo il loden verde dell'interlocutore che non ha detto nulla, ma il loden verde ha cominciato a sussultare piano; mi ricordo il mio vicino di letto, faceva il
giardiniere benché possedesse un aspetto incolto, la sua cartella clinica resta
un mistero, aveva qualche anno più di me e cioè moltissimi a quell'età; al suo
passaggio un conducente di pullman con le stampelle le ha posate e si è toccato
il lobo dell'orecchio, e poi ha riso in un modo brutto; mi ricordo che non
conoscevo ancora il significato di quel gesto; appena le infermiere uscivano
dalla camera dopo averci preso la temperatura mentre parlavano dei giovani
medici con lo stesso tono che lo zio e il papà etc. etc., il mio vicino di
letto giardiniere balzava in piedi sul proprio materasso, le molle cigolavano come quando nei film fanno l'amore, e mi ricordo che cominciava a cantare Tintarella di luna, la voce di Mina storpiata in falsetto ma associando le movenze forsennate di Raffaella
Carrà.
sabato 21 settembre 2024
Mi ricordo
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