sabato 21 settembre 2024

Mi ricordo

Mi ricordo la frattura dell’ulna e il radio nella notte tra lunedì 31 dicembre 1973 e martedì primo gennaio 1974; non il dolore, ma un ragazzo alto, riccio con un forte strabismo, somigliava a Jimmy il Fenomeno senza però nulla di fenomenale; un gatto aveva attraversato la strada all'improvviso mentre andava, o tornava, da una festa di capodanno con la sua Suzuki, e ora si trovava nella sala di attesa del pronto soccorso; mi ricordo che un infermiere gli aveva offerto un bicchierino di carta con un po’ di spumante, a me dell’aranciata Fanta: “Siete i primi pazienti dell’anno” aveva detto in un modo per cui istintivamente ci eravamo girati uno verso l'altro, una specie di sorriso dentro gli occhi, non fu facile intercettare la spericolata traiettoria dei suoi; mi ricordo l’odore mentolato dell’anestetico aspirato dalla mascherina di plastica trasparente, l’ortopedico che mi dice di contare, fallo più piano ometto, piano... uno… due… tre… quattro… cinque… non credo di essere arrivato a sei, prima che la lampada abbagliante della sala chirurgica dileguasse in sogno; mi ricordo il passaggio di consegne tra la luce dei neon e quella naturale, ogni giorno un piccolo minuto in più di sole la mattina e uno la sera, mi ricordo che era un argomento di conversazione frequente tra i malati, insieme all'evocazione dei parenti con relativa carriera professionale; mi ricordo quando dalla porta entrava il nonno con il suo cappelletto di velluto a coste marrone, oppure la mamma con un profumo agrumato poco indicato alla stagione, più raramente il papà, e la prima cosa che dicevo non era ciao ma li hai portati?; mi riferivo ai fumetti degli eroi Marvel, il mio preferito era l’Uomo Ragno, ma trovavo il costume di Capitan America molto più elegante; mi ricordo l’eleganza del pigiama Calida con il collo a barchetta, era di una tinta affine a blusa e pantaloni (se questi erano blu il collo era azzurro, e viceversa), intonato alla bordatura del taschino dove infilavo lo spazzolino da denti al ritorno dai bagni; potevo indossarlo tutto il giorno senza che qualcuno mi dicesse svelto, togli il pigiama che devi andare a scuola!; mi ricordo la neve sporca fuori dai finestroni metallici dell'ospedale di Sondrio, la immaginavo tiepida – e sì che conoscevo la sensazione delle mani violacee dopo le battaglie a palle di neve –, tiepida e della consistenza del purè che ci veniva servito tutti i giorni insieme a una fettina di emmental e a del prosciutto cotto; mi ricordo la visita puntuale dei medici, a quell'ora in tivù stava terminando la puntata quotidiana di Zorro e in Spagna cominciava la corrida, si udivano arrivare dallo scalpiccio degli zoccoli del dott. Scholl lungo il corridoio: davanti il primario attempato e mezzo calvo, di seguito i giovani medici – tutti maschi – e in coda le infermiere – tutte femmine; si vede che gli infermieri maschi sono addetti alla Fanta e allo spumante, mi ricordo ancora di avere pensato; mi ricordo le infermiere quando ritornavano a prenderci la temperatura, parlavano fitte fitte tra loro, ogni tanto riuscivo a cogliere qualche parola, si riferivano ai giovani medici (mai al primario) con lo stesso tono che lo zio e il papà utilizzavano, in assenza delle mogli, commentando i film con Ursula Andress e Zeudi Araya; mi ricordo il gesso ancora candido partire da sopra il gomito e fare un'ansa di novanta gradi, le firme degli amici sarebbero arrivate a breve; c'era sempre qualcuno, questo me lo ricordo bene, di solito si trattava di un lontano cugino che già frequentava le scuole medie, invece della firma disegnava un cazzo, poi trasformato in pesce convertendo in pinne i testicoli; mi ricordo il prurito contrastato con un ferro da maglia e poi nient'altro che effimero piacere; mi ricordo il mio vicino di letto, faceva il fiorista, aveva qualche anno più di me e cioè moltissimi a quel tempo, al suo passaggio un pacherista con un piede rotto si è toccato il lobo dell'orecchio e poi ha riso in un modo brutto; appena le infermiere uscivano dalla camera dopo averci preso la temperatura mentre parlavano dei giovani medici con lo stesso tono che lo zio e il papà etc. etc., il mio vicino di letto fiorista balzava in piedi sul proprio materasso, le molle cigolavano, e mi ricordo che cominciava a cantare Tintarella di luna, imitando la voce di Mina ma associando le movenze forsennate di Raffaella Carrà.

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