– Per definre l'interiorità usiamo il termine intimo. Lo stesso facciamo con le parti, appunto, intime, e gli indumenti che le ricoprono. Una curiosa coincidenza, forse un indizio... Non trovi?
– Faccio
fatica a seguirti.
– Magari
si capisce meglio con il superlativo, assunto a sigla di un famoso brand del
settore.
– Ti
riferisci a Intimissimi?
– Bravo!
Intimissimi che però è un aggettivo, e come tutti gli aggettivi rimanda a un
sostantivo.
– Tipo
"intimissimità". Suona da schifo.
– Forse
si vuole dire che oltre l'intimità c'è qualcos'altro. Ma cosa?
– Potrebbe essere un nuovo gioco di parole, togli qualcosa e resta altro, o meglio: l'altro.
– Ecco. La prospettiva dell'altro, penetrata in me fino a
cancellare la mia propria intimità.
– Un
po' come il Grande Altro di cui parlava Lacan.
– Mi sa che siamo sulla strada giusta.
– Quella
del Grande Intimo...
– Il
Grande Intimo, bello, come ti è venuta?
– Boh,
stavo pensando ai cameramen televisivi quando inquadrano il culo delle ragazze
che giocano a pallavolo.
– E
che c'entra?
– A
me piace la pallavolo femminile, mica sto tutto il tempo a farmi domande
filosofiche come te.
– Dai,
andiamo avanti.
– Vai
avanti, prego. Sei tu che hai messo in piedi tutta 'sta manfrina.
– Aspetta...
forse ci siamo: l'intimità trasformata in iperbole, in imperativo – pensa a
quanto accade sui social –, è la versione aggiornata dell'omologazione
culturale.
– Intendi
dire sotto il vestito niente?
– No.
Sotto il vestito l'intimo, sotto l'intimo l'intimissimo, e sotto l'intimissimo
infinite copie di me.
– A
proposito, hai visto che da Intimissimi ci sono le promozioni autunnali: tre
mutande al prezzo di due.
– E
me lo dici solo adesso!
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