giovedì 12 settembre 2024

DDT, o sull’intimità e i social

Ieri sono stato bannato. Riformulo meglio: ieri mi sono fatto bannare su Facebook. Si trattava di una persona presente tra i miei contatti, una donna sulla trentina, capelli lunghi e castani, con cui non avevo mai interagito. Da quel che capisco una poetessa, e come buona parte dei poeti identificata pienamente con il proprio gesto, cosa che a quei livelli non succede in nessuna altra arte. Mi è capito a tiro di sguardo un suo post e non ho resistito, ho commentato già sapendo che sarebbe scattata la tagliola del ban.

Intendiamoci: il mio commento non era niente di che, e sarà molto più chiaro ricostruendo il contesto. Questa poetessa posta un selfie in cui si riprende dall'alto, indossa un top turchese a fiorellini striminzito che, grazie all'inquadratura, mette in evidenza il prorompere candido dei seni; i capezzoli sono ovviamente ricoperti, ma in bella mostra la linea di discrimine tra gli organi di natura con più sinonimi al mondo (puppe, pere, centrale del latte, bocce… Benigni una volta provò a elencarli tutti), porgendosi all’osservatore come sulle vecchie copertine dell'Espresso.

La fotografia ha un titolo: Torino, poesia, linee di luce, qualcosa del genere, che c’entra con l’immagine come i famigerati cavoli a merenda; essendo stato bannato, non posso andare a rileggere per essere più preciso. Ma ricordo esattamente il mio commento: "Per fortuna c'era il titolo, altrimenti avrei pensato che il punctum della foto fosse il quadretto sulla destra"; e a destra in effetti si intravedeva un quadretto dalle tonalità rossicce.

Un messaggio ironico, di più, sarcastico, ossia ostile; almeno nella percezione di chi si sente preso in giro, dopo un tentativo (magari un poco maldestro ma verace) di accendere maliziosamente il mio desiderio di maschio, forse sperando che per metonimia facesse da traino all'interesse verso i suoi componimenti. Eppure anche io ho avvertito come ostile il suo sbattermi le tette in faccia, dando per scontato che mi stava omaggiando di tanta grazia, la monetina gettata nel berretto del clochard. Mi ha insomma dato fastidio questa intimità surrettizia e ammiccante.

E siamo finalmente al tema su cui mi interessa riflettere: Facebook, il primo social di successo (il primo social in assoluto è stato SixDegrees), nasce all'interno dell'università di Harvard il 4 febbraio del 2004. Si trattava di un luogo virtuale di condivisione tra persone che calcano lo stesso luogo reale – i vialetti alberati di Harvard, appunto –, ben presto esteso a scapito di tale fisicità. Anche nella sua ricezione fuori dai confini universitari, inizialmente, hanno prevalso piccole comunità vissute: se non territorialmente ubicate, si trattava di ex compagni di scuola, club di pescatori a mosca, scacchisti, gente con cui si era effettivamente condiviso qualcosa di concreto.

Il passo a un’inclusione indifferenza – diciamolo pure terra terra: cani e porci – è stato breve, e ora mi ritrovo con quasi 4000 contatti, di cui ne conosco personalmente sì e no una trentina. Gli altri sono fantasmi che si manifestano nel mio orizzonte ottico, e viceversa. A volte la cosa mi procura piacere, anche attraverso dei semplici segni è possibile avvertire sintonia, perfino il principio di un affetto, altre meno. Nel secondo caso, l'elemento tossico è costituito quasi sempre da una forzatura, che mi sembra di poter individuare proprio in quell’intimità oggetto dello screzio. Nei farmaci viene chiamato effetto paradosso: con più vuoi condividere il tuo piccolo privato mondo, il tuo corpo, il tuo gattino tenerino, con più l’estraneo che ti osserva prende coscienza della reciproca estraneità, traducendola in inimicizia.

Credo che il fenomeno degli hater, di cui il mio commento rappresentava una versione edulcorata, derivi in parte da questa idiosincrasia tra opposte e purtroppo comunicanti intimità, e il ban ricevuto la forza di segno uguale e contrario prodotta dalla scintilla d’attrito. Ha infatti fatto benissimo la poetessa tutte tette a bannare una persona giudicata insolente, la bacheca in fondo è la sua, e una bacheca viene percepita come casa propria, il più delle volte senza pensare che ha le finestre spalancate sul mondo. In una quartina di grande potenza, scriveva Sandro Penna: “Felice chi è diverso \ essendo egli diverso, \ ma guai a chi è diverso \ essendo egli comune.” L’esperienza della tarda modernità suggerisce una versione aggiornata: “Felice chi è intimo \ essendo egli intimo, \ ma guai a chi è intimo \ essendo egli estraneo.”

Se ognuno così facesse – bannare chi, su un social, non avverte immediatamente come intimo e congeniale – in quanti resteremmo? Venti, trenta, massimo una quarantina di persone per ogni bolla, non di più. E cioè il nucleo iniziale degli studenti di Harvard. Tutto ciò che è venuto dopo è stato nella migliore delle ipotesi ridondante, e nella peggiore fastidioso come una zanzara di cui avverti il ronzio in piena notte, prima di addormentarti. Per cui diamoci dentro con il ban, pietà l'è morta, e con essa empatia, umorismo, curiosità verso un altro che sia radicalmente altro. Ora possiamo sterminare l'intruso con la stessa disinvoltura con cui un tempo si spruzzava il DDT.

2 commenti:

  1. Meraviglia. E te lo scrivo qua, sul blog, dove altro che venti/trenta..credo ti leggano anche meno..👏🤗

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    1. Infatti, su Facebook, è il post con meno like di sempre... ;-)

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