Ieri sono stato bannato. Riformulo meglio: ieri mi
sono fatto bannare su Facebook. Si trattava di una persona presente tra i miei
contatti, una donna sulla trentina, capelli lunghi e castani, con cui non avevo
mai interagito. Da quel che capisco una poetessa, e come buona parte dei poeti
identificata pienamente con il proprio gesto, cosa che a quei livelli non
succede in nessuna altra arte. Mi è capito a tiro di sguardo un suo post e non
ho resistito, ho commentato già sapendo che sarebbe scattata la tagliola del
ban.
Intendiamoci: il mio commento non era niente di che, e
sarà molto più chiaro ricostruendo il contesto. Questa poetessa posta un selfie
in cui si riprende dall'alto, indossa un top turchese a fiorellini striminzito
che, grazie all'inquadratura, mette in evidenza il prorompere candido dei seni;
i capezzoli sono ovviamente ricoperti, ma in bella mostra la linea di
discrimine tra gli organi di natura con più sinonimi al mondo (puppe, pere,
centrale del latte, bocce… Benigni una volta provò a elencarli tutti), porgendosi
all’osservatore come sulle vecchie copertine dell'Espresso.
La fotografia ha un titolo: Torino, poesia, linee di
luce, qualcosa del genere, che c’entra con l’immagine come i famigerati cavoli
a merenda; essendo stato bannato, non posso andare a rileggere per essere più
preciso. Ma ricordo esattamente il mio commento: "Per fortuna c'era il
titolo, altrimenti avrei pensato che il punctum della foto fosse il
quadretto sulla destra"; e a destra in effetti si intravedeva un quadretto
dalle tonalità rossicce.
Un messaggio ironico, di più, sarcastico, ossia
ostile; almeno nella percezione di chi si sente preso in giro, dopo un
tentativo (magari un poco maldestro ma verace) di accendere maliziosamente il
mio desiderio di maschio, forse sperando che per metonimia facesse da traino
all'interesse verso i suoi componimenti. Eppure anche io ho avvertito
come ostile il suo sbattermi le tette in faccia, dando per scontato che mi
stava omaggiando di tanta grazia, la monetina gettata nel berretto del
clochard. Mi ha insomma dato fastidio questa intimità surrettizia e ammiccante.
E siamo finalmente al tema su cui mi interessa
riflettere: Facebook, il primo social di successo (il primo social in assoluto
è stato SixDegrees), nasce all'interno dell'università di Harvard il 4 febbraio
del 2004. Si trattava di un luogo virtuale di condivisione tra persone che
calcano lo stesso luogo reale – i vialetti alberati di Harvard, appunto –, ben
presto esteso a scapito di tale fisicità. Anche nella sua ricezione fuori dai
confini universitari, inizialmente, hanno prevalso piccole comunità vissute: se
non territorialmente ubicate, si trattava di ex compagni di scuola, club di
pescatori a mosca, scacchisti, gente con cui si era effettivamente condiviso
qualcosa di concreto.
Il passo a un’inclusione indifferenza – diciamolo pure
terra terra: cani e porci – è stato breve, e ora mi ritrovo con quasi 4000
contatti, di cui ne conosco personalmente sì e no una trentina. Gli altri sono
fantasmi che si manifestano nel mio orizzonte ottico, e viceversa. A volte la
cosa mi procura piacere, anche attraverso dei semplici segni è possibile
avvertire sintonia, perfino il principio di un affetto, altre meno. Nel secondo
caso, l'elemento tossico è costituito quasi sempre da una forzatura, che mi
sembra di poter individuare proprio in quell’intimità oggetto dello screzio.
Nei farmaci viene chiamato effetto paradosso: con più vuoi condividere il tuo
piccolo privato mondo, il tuo corpo, il tuo gattino tenerino, con più
l’estraneo che ti osserva prende coscienza della reciproca estraneità,
traducendola in inimicizia.
Credo che il fenomeno degli hater, di cui il mio
commento rappresentava una versione edulcorata, derivi in parte da questa
idiosincrasia tra opposte e purtroppo comunicanti intimità, e il ban ricevuto
la forza di segno uguale e contrario prodotta dalla scintilla d’attrito. Ha
infatti fatto benissimo la poetessa tutte tette a bannare una persona giudicata
insolente, la bacheca in fondo è la sua, e una bacheca viene percepita come
casa propria, il più delle volte senza pensare che ha le finestre spalancate sul
mondo. In una quartina di grande potenza, scriveva Sandro Penna: “Felice chi è
diverso \ essendo egli diverso, \ ma guai a chi è diverso \ essendo egli
comune.” L’esperienza della tarda modernità suggerisce una versione aggiornata:
“Felice chi è intimo \ essendo egli intimo, \ ma guai a chi è intimo \ essendo
egli estraneo.”
Se ognuno così facesse – bannare chi, su un social, non avverte immediatamente come intimo e congeniale – in quanti resteremmo? Venti, trenta, massimo una quarantina di persone per ogni bolla, non di più. E cioè il nucleo iniziale degli studenti di Harvard. Tutto ciò che è venuto dopo è stato nella migliore delle ipotesi ridondante, e nella peggiore fastidioso come una zanzara di cui avverti il ronzio in piena notte, prima di addormentarti. Per cui diamoci dentro con il ban, pietà l'è morta, e con essa empatia, umorismo, curiosità verso un altro che sia radicalmente altro. Ora possiamo sterminare l'intruso con la stessa disinvoltura con cui un tempo si spruzzava il DDT.
Meraviglia. E te lo scrivo qua, sul blog, dove altro che venti/trenta..credo ti leggano anche meno..👏🤗
RispondiEliminaInfatti, su Facebook, è il post con meno like di sempre... ;-)
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