Mi ricordo il cemento dolcemente ricurvo interrotto dalla schiera di finestre a ferro di cavallo della colonia Fara. Alle sue spalle, come in una cartolina illustrata, il sole si abbassava a lambire il mare di ponente, verso il Golfo del Tigullio. Banchi di nuvole scure si insinuavano a guastare la fotografia, lasciando prefigurare un temporale; cosa non infrequente per la stagione, pochi giorni ancora e sarebbe iniziata la scuola. Inaugurata il 28 giugno del 1938, aria iodata per sanare i polmoni dei giovani Balilla, esercizi ginnici al mattino direttamente sulla spiaggia sassosa di Chiavari, gli undici piani della colonia Fara furono convertiti in albergo negli anni Sessanta, dove di tanto in tanto alloggiavo con i miei genitori quando andavamo a trovare i parenti più ricchi, che possedevano un appartamento a Rapallo. All'estremità di un lungomare anonimo, era divertente, nel raggiungere la colonia, ascoltare il mugugnare ligure dei pescatori, sempre insoddisfatti del magro bottino. La Ford Escort che il nonno aveva prestato a papà veniva lasciata in un ampio parcheggio poco distante, al suo interno era stata ritagliata una porzione – le misure erano quelle di un campo da basket, delimitato da birilli di plastica a bande bianche e rosse – adibita ad autodromo; una specie di autoscontro ma senza scontri: si inseriva il gettone e le riproduzioni miniaturizzate di celebri modelli di autovetture si mettevano in movimento, sospinte da un motore elettrico a batteria. Io avevo scelto un Maggiolone color oro metallizzato, mio cugino Paolo un'Alfa Romeo Giulietta con la scritta Polizia, altri bambini non ce n'erano, la pista d’asfalto tutta per noi. Anche i genitori e gli zii si erano momentaneamente allontanati di qualche decina di metri, erano andati a prendere un Mottarello in un chiosco con il tettuccio impagliato, ed era rimasta solo mia cugina Alessandra a bordo pista, forse ritenendo quel gioco un po' troppo maschile. Indossava dei sandali blu, una gonna al ginocchio dello stesso colore, sulla t-shirt gialla il muso nero della tigre del formaggino Tigre. Era tutto così assurdamente perfetto. Anche il modo imbronciato in cui osservava la nostra felicità, con un taglio a caschetto come Anna Karina in Vivre sa vie. Intanto, quel che restava del sole dietro la colonia Fara era definitivamente dileguato, e si cominciavano a sentire le prime gocce sulle mani che impugnavano il volante.
domenica 29 settembre 2024
giovedì 26 settembre 2024
Mi ricordo 2
Mi ricordo una domenica mattina all'autodromo di Monza, il rumore insopportabile dei motori io mi mettevo le dita nelle orecchie, questi, pensavo, sono matti, mi ricordo i box attraversati dalle tute blu dei meccanici, la stessa concitazione delle formiche nell'avventarsi sui resti del picnic precipitati a lato del plaid tartan, a guardarlo da una mongolfiera si sarebbe detto una toppa sul tessuto verde del prato, dal mangianastri le note di Piccola e fragile di Drupi mentre la mamma spreme maionese sulla Simmenthal e la infila dentro il pane all'olio, mi ricorderò forse un'altra volta meglio di questo ricordo, ora mi ricordo gomme enormi e profumate sospinte senza alcuno sforzo, chi non ha le mani occupate o il casco in testa si accende una sigaretta con un accendino d'argento o, non meno spesso, d'oro, ovunque la scritta Marlboro, John Player Special, STP, Champion, papà indossa dei pantaloni neri e una camicia bianca con uno stemma medievale a forma di scudo cucito sul taschino, l’insegna dei cronometristi, mi ricordo l’oscillare irregolare del cronometro appeso al collo con una cordicella rossa e tesa, mi ricordo di avere pensato alla liana da cui si lancia Tarzan dopo avere cacciato il suo famigerato urlo, non allontanarti dice papà e io rispondo cooosa?, NON ALLONTANARTI resta sempre qui accanto a me altrimenti ti perdi come a Rimini, mi ricordo gli altoparlanti dei bagni Aurora di Rimini, si è perso un bambino il suo nome è Guido, nel dubbio l'avviso era stato ripetuto anche in tedesco (Ein Kind ist verloren gegangen, sein Name ist Guido), al termine della gara, l'ho capito dall'attenuarsi del baccano, solo qualche sgasata ogni tanto potevo finalmente togliere le dita dalle orecchie, c’è stato un buffet e mi ricordo che era presente Arturo Merzario con un cappello da cow boy bianco, in quel periodo correva già in Formula 1 ma quella non era una gara di Formula 1, le auto erano tutte delle Porsche Carrera con un enorme alettone posteriore, mi piaceva la sagoma affusolata non meno del suono, alettone, così continuavo a pronunciare frasi in cui fosse incluso il termine alettone, udirlo uscire dalla mia bocca pareva conferirmi qualcosa di adulto, mi ricordo una saletta a fianco del buffet dove era presente un’autopista Policar a otto corsie, vai pure dice papà che sta bevendo un Crodino ma poi non muoverti aspettami lì, mi ricordo che anche i modellini in scala possedevano l'alettone e i figli dei piloti, i lineamenti armoniosi e quasi femminei da giovani ricchi, pigiavano con foga sul tasto che trasmette l'impulso elettrico, mi ricordo che mi era stato offerto di partecipare alla competizione ed ero arrivato terzo o quarto e comunque prima del figlio di Merzario, quando papà aveva visto che avevo battuto il figlio di Merzario aveva detto BRAVO!, me lo ricordo o forse l'ho inventato il giorno dopo a scuola nel raccontare l’intera avventura a Federico, e papà non ha detto nulla e ha continuato a sorseggiare il suo Crodino con uno stemma da cavaliere medievale impresso sul petto e Tarzan che oscilla appeso al collo.
domenica 22 settembre 2024
Disprezzo
sabato 21 settembre 2024
Mi ricordo
Mi ricordo la frattura di ulna e radio nella notte tra
lunedì 31 dicembre 1974 e martedì primo gennaio 1975; non il dolore, ma un
ragazzo alto, riccio con un forte strabismo, somigliava a Jimmy il Fenomeno
senza però nulla di fenomenale; un gatto aveva attraversato la strada
all'improvviso mentre andava, o tornava, da una festa di capodanno con la sua
Kawasaki, e ora si trovava nella sala di attesa del pronto soccorso con i jeans
lacerati in ampio anticipo sulla moda; mi ricordo che un infermiere gli aveva offerto
un bicchierino di carta con un po’ di spumante, a me dell’aranciata Fanta:
“Siete i primi pazienti dell’anno” aveva detto in un modo per cui
istintivamente ci eravamo girati uno verso l'altro, una specie di sorriso
dentro gli occhi, non fu facile intercettare la spericolata traiettoria dei
suoi; mi ricordo l’odore mentolato dell’anestetico e la mascherina di
plastica trasparente, l’ortopedico che mi dice di contare, fallo più piano
ometto, piano... uno… due… tre… quattro… cinque… non credo di essere arrivato a
sei, prima che l'abbaglio lattescente della lampada chirurgica dileguasse in sogno ; mi ricordo il passaggio di consegne tra la luce dei neon e quella
naturale, ogni giorno un piccolo minuto in più di sole la mattina e uno la
sera, mi ricordo che era un argomento di conversazione tra i malati,
insieme all'enumerazione dei parenti con relativa carriera professionale; mi
ricordo quando nel pomeriggio arrivava il nonno con il suo cappelletto di velluto a
coste, oppure la mamma con un profumo agrumato poco indicato alla
stagione, più raramente il papà, e la prima cosa che dicevo non era ciao
ma li hai portati?; mi riferivo agli albo a fumetti con le storie
degli eroi Marvel, il mio preferito era l’Uomo Ragno, ma trovavo il costume di
Capitan America molto più elegante; mi ricordo l’eleganza del pigiama Calida
con il collo a barchetta, era di una tinta affine a blusa e pantaloni (se
questi erano blu il collo era azzurro, e viceversa), ripreso nella bordatura
del taschino dove infilavo lo spazzolino da denti al ritorno dai bagni; potevo
indossarlo tutto il giorno senza che qualcuno mi dicesse svelto, togli
il pigiama che devi andare a scuola!; mi ricordo la neve sporca fuori dai
finestroni metallici dell'ospedale di Sondrio, la immaginavo tiepida – e sì che
conoscevo la sensazione delle mani violacee dopo le battaglie a palle di neve
–, tiepida e della consistenza del purè che ci veniva servito tutti i giorni
insieme a una fettina di emmental e del prosciutto cotto; mi ricordo il giro serale dei medici, a quell'ora in tivù stava terminando la puntata
quotidiana di Zorro, si udivano arrivare
dallo scalpiccio degli zoccoli del dott. Scholl lungo il corridoio: davanti il
primario attempato e mezzo calvo, di seguito i giovani medici – tutti maschi –
e in coda le infermiere – tutte femmine; si vede che gli infermieri maschi sono
addetti alla Fanta e allo spumante, mi ricordo ancora di avere pensato; mi
ricordo le infermiere quando ritornavano a prenderci la temperatura, si sussurravano delle cose tra loro, ogni tanto riuscivo a cogliere qualche parola, si
riferivano ai giovani medici (mai al primario mezzo calvo) con lo stesso tono che lo zio e
il papà utilizzavano, in assenza delle mogli, parlando di Ursula
Andress e Zeudi Araya; mi ricordo il gesso ancora umido partire da sopra il
gomito e fare un'ansa di novanta gradi, le firme degli amici sarebbero arrivate
a breve; c'era sempre qualcuno, questo me lo ricordo bene, di solito si
trattava di un lontano cugino che già frequentava le scuole medie, invece della
firma disegnava un cazzo, poi trasformato in pesce convertendo in pinne i
testicoli; mi ricordo il prurito contrastato con un ferro da maglia e poi
nient'altro che effimero piacere; mi ricordo suoni, le sirene delle ambulanze,
lamenti, il cigolio dei carrelli con i farmaci e lo sfigmomanometro, lo
scrosciare dell'urina nei pappagalli nel corso della notte; mi ricordo la frase
“è morta” pronunciata senza alcuna inflessione da una voce maschile dietro una porta socchiusa, si intravedeva solo il loden verde dell'interlocutore che non ha detto nulla, ma il loden verde ha cominciato a sussultare piano; mi ricordo il mio vicino di letto, faceva il
giardiniere benché possedesse un aspetto incolto, la sua cartella clinica resta
un mistero, aveva qualche anno più di me e cioè moltissimi a quell'età; al suo
passaggio un conducente di pullman con le stampelle le ha posate e si è toccato
il lobo dell'orecchio, e poi ha riso in un modo brutto; mi ricordo che non
conoscevo ancora il significato di quel gesto; appena le infermiere uscivano
dalla camera dopo averci preso la temperatura mentre parlavano dei giovani
medici con lo stesso tono che lo zio e il papà etc. etc., il mio vicino di
letto giardiniere balzava in piedi sul proprio materasso, le molle cigolavano come quando nei film fanno l'amore, e mi ricordo che cominciava a cantare Tintarella di luna, la voce di Mina storpiata in falsetto ma associando le movenze forsennate di Raffaella
Carrà.
domenica 15 settembre 2024
This Is the End
L'ultimo maschio di rinoceronte bianco del nord rimasto sul pianeta, mancano pochi istanti alla sua morte a Ol Pejeta Wildlife Conservancy, nel Kenya settentrionale. Soffrendo di complicazioni legate all'età, leggo sul web, ha chiuso gli occhietti sproporzionati alla mole circondato dalle persone che si erano prese cura di lui, tra cui il ranger di colore che indossa una casacca verde solcata da inserti beige. Immagine struggente e potentissima, con la quale Ami Vitale, l'autrice dello scatto, ha vinto il premio People's Choice Award per la fauna selvatica. Avendo studiato un po' di fotografia, conosco la malizia nel ricomporre le variabili dietro ogni contesto figurale, e non possiamo escludere eventuali indicazioni date al soggetto umano della foto: "Spostati più a destra, chinati e abbraccia il bestione... dai in fretta che sta tirando le cuoia!" Ma in fondo non mi importa. Fosse pure compresa una misura di fiction, nessuna opera prodotta dall'ingegno di chi dice io, bicicletta, e=mc2 e postavanguardia, riesce a eguagliare la perfezione formale di un rinoceronte bianco; ricorda certe favole in cui il vecchio re malato si sta spegnendo, e con esso l'intero regno: sono sentieri la trama di rughe sulla scorza spessa e grigia, conducono a contrade in apprensione, possiamo immaginare vallate su cui è calata l'ombra all'improvviso, i fiori non sbocciano e crollano le pareti delle case, il tutto riassunto nell'inermità di una resa incondizionata, la sua croce animale. Rimane il groppo alla gola che trasmette il dileguare di ogni vita, accompagnato da un gesto di compassione simile, nella postura, alla Pietà del Correggio – la mente si difende dal dolore attraverso l'analogia – da parte di chi appartiene a una diversa linea evolutiva. È il comune destino che si mostra con disarmata sincerità.
(Ps - Fotografia da osservare, lungamente, con in
sottofondo la canzone dei Doors che dà il titolo a questo post.)
sabato 14 settembre 2024
Il Grande Intimo
venerdì 13 settembre 2024
Tipi umani
Nella scheda personaggio di un romanziere, la prima e
decisiva voce dovrebbe essere la musica. Lo si ricava scorrendo i profili di
Facebook Dating – poco utile allo scopo preposto, offre preziose indicazioni
sull'umano come genere fortemente tipizzato. Quindi funziona da calco solamente per i
personaggi secondari, diffidate di Facebook Dating se volete costruire un
protagonista vero e complesso, ma con i personaggi di contorno è un album di
figurine a cui attingere a piene mani: i tipi psicologici sono messi in posa
come calciatori con la maglia della squadra di appartenenza; i più egocentrici
tenevano un tempo il colletto sollevato, ora non ci sono più i colletti e
nemmeno gli album delle figurine con i calciatori. In ogni caso, quella blusa
andrà a coincidere proprio con la musica indicata tra le preferenze. Se ad
esempio, all'interno di un profilo femminile, si legge che i cantanti del
cuore sono Ultimo e Mengoni (con l'aggiunta di Loredana Bertè, abbiamo coperto
i gusti musicali del 50% delle donne presenti; ai profili maschili non mi è
consentito l'accesso), potremo ricavare quasi ogni altro aspetto del mondo
sociale in cui collocare la persona: abbigliamento, spettro professionale,
perfino il luogo dove ha acquistato la tendina per la finestrella del bagno, che
non sarà l'Ikea ma Leroy Merlin. Mentre quando fa l'Happy Hour con le amiche –
perché fa l'Happy Hour con le amiche, anche questo si desume dall'ascolto di
Ultimo e Mengoni – ordinerà Spritz in inverno e Mojito in estate, con
oscillazione tra i due nelle stagioni intermedie. Di una donna che invece
ascolta Frank Zappa, si può scommettere che non ordinerà niente. Non esistono
infatti donne che ascoltano Frank Zappa, se, nella scheda personaggio, avete inserito l'artista che di sé dichiarava "tengo una minchia tanta", al più potrete scrivere un romanzo ucronico
o fantascientifico. Ancora ancora è possibile fare un tentativo con Tom Waits...
Compulsando Facebook Dating, arriveremo alla conclusione che la donna con questa passione
musicale ha due tatuaggi non meglio definiti (in ogni caso, non i trenta tribali di
chi alza il volume dell'autoradio con Metallica e Foo Fighters), pratica
un'arte marziale giapponese poco diffusa, non ha figli e non pensa di averne,
qualche relazione saffica alle spalle ma le sta sul cazzo Gianna Nannini e chi
l’ascolta, così è tornata, senza troppo entusiasmo, ai maschi che sulle
applicazione di incontri ricerca con spirito altamente selettivo, a cui
comunque preferisce la sua arte marziale poco diffusa; se proprio deve fare
l'Happy Hour – non ci va matta, ma ogni tanto le tocca – ordinerà un Negroni o
qualche vigoroso rosso del Sud, non certo Pinot nero di Borgogna. Mentre
partendo da quello, dal Pinot nero di Borgogna, è molto più difficile risalire
alla musica, sono dettagli che tendono a rimanere isolati. Isolati come chi
frequenta luoghi virtuali come Facebook Dating, nella circostanza il
sottoscritto.
giovedì 12 settembre 2024
DDT, o sull’intimità e i social
Ieri sono stato bannato. Riformulo meglio: ieri mi
sono fatto bannare su Facebook. Si trattava di una persona presente tra i miei
contatti, una donna sulla trentina, capelli lunghi e castani, con cui non avevo
mai interagito. Da quel che capisco una poetessa, e come buona parte dei poeti
identificata pienamente con il proprio gesto, cosa che a quei livelli non
succede in nessuna altra arte. Mi è capito a tiro di sguardo un suo post e non
ho resistito, ho commentato già sapendo che sarebbe scattata la tagliola del
ban.
Intendiamoci: il mio commento non era niente di che, e
sarà molto più chiaro ricostruendo il contesto. Questa poetessa posta un selfie
in cui si riprende dall'alto, indossa un top turchese a fiorellini striminzito
che, grazie all'inquadratura, mette in evidenza il prorompere candido dei seni;
i capezzoli sono ovviamente ricoperti, ma in bella mostra la linea di
discrimine tra gli organi di natura con più sinonimi al mondo (puppe, pere,
centrale del latte, bocce… Benigni una volta provò a elencarli tutti), porgendosi
all’osservatore come sulle vecchie copertine dell'Espresso.
La fotografia ha un titolo: Torino, poesia, linee di
luce, qualcosa del genere, che c’entra con l’immagine come i famigerati cavoli
a merenda; essendo stato bannato, non posso andare a rileggere per essere più
preciso. Ma ricordo esattamente il mio commento: "Per fortuna c'era il
titolo, altrimenti avrei pensato che il punctum della foto fosse il
quadretto sulla destra"; e a destra in effetti si intravedeva un quadretto
dalle tonalità rossicce.
Un messaggio ironico, di più, sarcastico, ossia
ostile; almeno nella percezione di chi si sente preso in giro, dopo un
tentativo (magari un poco maldestro ma verace) di accendere maliziosamente il
mio desiderio di maschio, forse sperando che per metonimia facesse da traino
all'interesse verso i suoi componimenti. Eppure anche io ho avvertito
come ostile il suo sbattermi le tette in faccia, dando per scontato che mi
stava omaggiando di tanta grazia, la monetina gettata nel berretto del
clochard. Mi ha insomma dato fastidio questa intimità surrettizia e ammiccante.
E siamo finalmente al tema su cui mi interessa
riflettere: Facebook, il primo social di successo (il primo social in assoluto
è stato SixDegrees), nasce all'interno dell'università di Harvard il 4 febbraio
del 2004. Si trattava di un luogo virtuale di condivisione tra persone che
calcano lo stesso luogo reale – i vialetti alberati di Harvard, appunto –, ben
presto esteso a scapito di tale fisicità. Anche nella sua ricezione fuori dai
confini universitari, inizialmente, hanno prevalso piccole comunità vissute: se
non territorialmente ubicate, si trattava di ex compagni di scuola, club di
pescatori a mosca, scacchisti, gente con cui si era effettivamente condiviso
qualcosa di concreto.
Il passo a un’inclusione indifferenza – diciamolo pure
terra terra: cani e porci – è stato breve, e ora mi ritrovo con quasi 4000
contatti, di cui ne conosco personalmente sì e no una trentina. Gli altri sono
fantasmi che si manifestano nel mio orizzonte ottico, e viceversa. A volte la
cosa mi procura piacere, anche attraverso dei semplici segni è possibile
avvertire sintonia, perfino il principio di un affetto, altre meno. Nel secondo
caso, l'elemento tossico è costituito quasi sempre da una forzatura, che mi
sembra di poter individuare proprio in quell’intimità oggetto dello screzio.
Nei farmaci viene chiamato effetto paradosso: con più vuoi condividere il tuo
piccolo privato mondo, il tuo corpo, il tuo gattino tenerino, con più
l’estraneo che ti osserva prende coscienza della reciproca estraneità,
traducendola in inimicizia.
Credo che il fenomeno degli hater, di cui il mio
commento rappresentava una versione edulcorata, derivi in parte da questa
idiosincrasia tra opposte e purtroppo comunicanti intimità, e il ban ricevuto
la forza di segno uguale e contrario prodotta dalla scintilla d’attrito. Ha
infatti fatto benissimo la poetessa tutte tette a bannare una persona giudicata
insolente, la bacheca in fondo è la sua, e una bacheca viene percepita come
casa propria, il più delle volte senza pensare che ha le finestre spalancate sul
mondo. In una quartina di grande potenza, scriveva Sandro Penna: “Felice chi è
diverso \ essendo egli diverso, \ ma guai a chi è diverso \ essendo egli
comune.” L’esperienza della tarda modernità suggerisce una versione aggiornata:
“Felice chi è intimo \ essendo egli intimo, \ ma guai a chi è intimo \ essendo
egli estraneo.”
Se ognuno così facesse – bannare chi, su un social, non avverte immediatamente come intimo e congeniale – in quanti resteremmo? Venti, trenta, massimo una quarantina di persone per ogni bolla, non di più. E cioè il nucleo iniziale degli studenti di Harvard. Tutto ciò che è venuto dopo è stato nella migliore delle ipotesi ridondante, e nella peggiore fastidioso come una zanzara di cui avverti il ronzio in piena notte, prima di addormentarti. Per cui diamoci dentro con il ban, pietà l'è morta, e con essa empatia, umorismo, curiosità verso un altro che sia radicalmente altro. Ora possiamo sterminare l'intruso con la stessa disinvoltura con cui un tempo si spruzzava il DDT.
mercoledì 11 settembre 2024
Tiro alla fune
La prima immagine che si presenta alla mente è quella del tiro alla fune. Solo in seguito riesco a collocare al suo interno, con funzione di paonazzi contendenti, le discussioni intorno al tema dellə Schwa, che negli ultimi giorni si sono riaccese grazie all'ultimo libro di Vera Gheno (Grammamanti, Einaudi, 2024). Confesso di conoscere il suo pensiero solo per sommi capi, ma, ai fini del poco che ho da aggiungere al riguardo, è sufficiente quel vecchio attrezzo retorico costituito dalla metafora, con cui provare ad accostare la questione da un margine figurale.
L'impressione è che tutte le lingue vengano contese e definite da due forze contrapposte, come avviene appunto nel tiro alla fune. Da un capo afferrano la iuta intrecciata le mani senza calli degli intellettuali (scrittori, poeti, linguisti) e dall'altro i comuni parlanti, possiamo anche chiamarlo popolo. A volte, non spesso, sono i primi a vincere, ottenendo quale posta l'accoglienza dei modelli linguistici da loro finemente elaborati; è successo con l'italiano e in seguito con l'ebraico, una lingua morta già ai tempi di Gesù – voi resuscitate i corpi, sembrano dire ai cristiani con ripicca, e noi le lingue. Ma è più frequente il caso di idiomi diffusi e addirittura presi a modello di bellezza, ad esempio la versione ionica del greco antico, la lingua di Omero, costretti a cedere a linguaggi che si affermano per ragioni politico-militari, o a una maggiore semplicità d'uso; per l'attico, furono le conquiste di Alessandro Magno a renderlo la Koinè parlata sulle sponde del Mediterraneo, mentre il latino viaggiò sulle ali dell'aquila imperiale.
Se ne ricava che la sfida di Michela Murgia, Vera
Gheno, Alice Orrù e di chiunque creda che la lingua debba riflettere una rinnovata
sensibilità morale sul tema del genere, oltre le rivendicazioni di minoranze sessuali prima
ancora che economiche, è del tutto legittima. Bisogna vedere se la forza con
cui tirano la corda dalla loro parte saprà prevalere non solo sulle
consuetudini d'uso, ma su ideologie di segno contrario che ugualmente trovano
riflesso nei discorsi al Bar Piero, tra i banchi degli istituti professionali,
sotto ai caschi dei parrucchieri (e delle parrucchiere) e insomma in
quell'ovunque in cui è contemplata la Bible Belt statunitense, con i suoi
suprematisti bianchi che votano per Trump.
Per quel che mi riguarda prometto, da buon italiano,
di salire sul carro del vincitori, ma sono troppo vecchio e acciaccato per
cimentarmi in un agone di polvere, sudore e dizionari. Vera Gheno possiede delle ottime ragioni teoriche, unite a una dose di ideologia che fa tutt'uno con l'impeto emotivo funzionale a qualsiasi competizione, tra cui il tiro alla fune. Ma se fossi un bookmaker
londinese scommetterei sulla pigrizia: una forza debole tanto più incisiva
nella storia vissuta, non meno che in quella scritta e parlata.
Mi piace però concludere ricordando quanto pensava
Wittgestein al riguardo. "The borders of your language are the borders of
your world", recitava con aria sempre un po' imbronciata. E dunque
se il mondo, ossia i suoi rapporti di forza e le credenze derivate, danno forma
alle parole, ci sta pure il caso contrario: nuove parole o un diverso utilizzo
delle stesse (Liberté, Égalité, Fraternité, mettiamo) possono cambiare il
mondo. Buona fortuna ai corpi e ai discorsi trainanti, che il tiro alla fune abbia inizio!
sabato 7 settembre 2024
Elezioni social
La parata
dell'umano sui social
possiede qualcosa di villano,
corpi e
parole in un troppo dolente
o spavaldo o
ammiccante.
L'intellettuale è ciliegina estetica
sopra alla torta di compleanno:
catturare
consenso con il senso
oppure in décolleté – in fondo uguale
se l'abaco impila pollici blu,
dove è
l'esatta metrica
tra io e
mondo a fare tondo.
Rimangono
gli scarti, i drop-out,
la tenerezza
per quei post
disdegnati
dai like.
Come chi,
candidato alle elezioni
comunali,
ottiene due soli voti:
il proprio,
e quello della mamma.
giovedì 5 settembre 2024
Papaveri e papere 2.0
Se la politica è anche corpo, trovo interessante provare a individuare un correlativo tra i nostri politici e i dati morfometrici da essi incarnati. A sinistra prevalgono fattezze assolutamente nella media, e, con eccezione di Fassino e in parte Rutelli, non mi viene in mente nessun politico veramente basso o veramente alto – lo era Craxi, per quanto la sua collocazione a sinistra è ancora fonte di dibattito. Mentre a destra l'involucro fisico occupa la scena pubblica secondo le più varie occorrenze: basso era Berlusconi e bassa appare anche Meloni, la quale vive la propria statura con maggiore serenità; minuscolo Brunetta, al punto da rendere squallido ogni tentativo di fare ironia sulla sua condizione: fuoriuscito dalla destra di governo, ne rimane tignoso emblema nella memoria; Sangiuliano, nelle foto accanto a Maria Rosaria Boccia – l'ex amante, ora non è più l'insinuare dei maliziosi – che fa da parametro prospettico come la lattina di Coca-Cola per le riproduzioni in scala dei monumenti celebri, sembra non superare il metro e sessanta, il web non offre indicazioni più precise. Ma contemporaneamente abbiamo Crosetto con il suo metro e novantasei, Gianfranco Fini è alto 1.88, la stessa statura sia di Luca Barbareschi sia di Briatore, che andrà collocato anch'egli a destra per quanto si tratti di una destra antropologica e non politica, come nel caso di Bandecchi la cui dismisura avviene in ogni triplice coordinata spaziale. Giuliano Ferrara e Adinolfi prediligono l'espansione orizzontale, Vannacci torna a puntare nella direzione del vertice – quanto sarà alto: 1.90? – mentre la statura di Salvini è di "solamente" un metro e ottantacinque, comunque attestandosi ben al di sopra della media maschile attuale, che è di un metro e settantasette. A quel dato la sinistra sembra volersi cocciutamente attenere, reificando la vocazione maggioritaria che la contraddistingue: tutto ciò che viene prodotto dal PD deve corrispondere a un sentire che ha posto l'asticella alla tacca di una cauta normalità; Fabio Fazio per intenderci, anche fisicamente rappresenta il calco a cui riferirsi, l'idea platonica di sinistra nel nuovo millennio. Fazio non è alto e non è basso, non è bello e non è brutto, di certo è intelligente ma non geniale, ed è agevole accomodarsi sulle sue poltroncine di pelle bianca, le domande rivolte agli ospiti riflettono il range medio in cui si colloca. Diversamente, a destra prevale il culto dell'individualità, all'omologazione statistica viene preferita la differenza chiassosa, "je suis comme je suis" cantava Édith Piaf. La misura fisica ha così margine di oscillare liberamente, ci ricorda Mister Fantastic, il personaggio creato da Stan Lee in grado di estendere o contrarre a piacere il proprio corpo, dei Fantastici Quattro era il brizzolato leader in tutina blu. Non bisogna dunque criticare l'intervista di ieri sera di Sangiuliano al TG1, ha semplicemente fatto ciò che la destra sa fare meglio: altalenare frasi smozzicate tra le vette delle intenzioni e gli abissi della prassi.
lunedì 2 settembre 2024
Di due uno
Nel giorno in cui l'argomento che non perdona e tocca è la strage di Paderno Dugnano, compare, non so bene da quale altrove, un video di Vincenzo Mollica. Gli occhi sono semichiusi a causa di uveite, glaucoma e iridociclite plastica, le mani impugnano le copertine di due vecchi vinili di Celentano, le innalza nella direzione dove immagina posizionata la camera che sta riprendendo, purtroppo non si distinguono i titoli per via del tremore procurato dal morbo di Parkinson; leggo che soffre anche di diabete mellito ma continua a parlare di Adriano Celentano, dice che i dischi imperdibili del Molleggiato sono sei, e a me sembra di scorgere un invisibile filo che mi riconduce a Paderno Dugnano. La vita viene cancellata con un coltello da cucina e subito ricompare da un'altra parte, ostinata e tremebonda, nonostante tutto va avanti, una carezza e un pugno cantava Celentano. E non si capisce in quale dei due quadri sia contenuta una misura più alta di mistero, di tragedia ma insieme di qualcosa che sfugge alla logica dei discorsi; in fondo il melodramma è nato a questo scopo: dove non arrivano le parole comincia la musica; in seguito vennero le canzoni che di Mollica sono state passione e professione, assieme al fumetto che ugualmente accoppia parole con immagini. "Quando di due farete uno solo", sta scritto nel Vangelo apocrifo di Tommaso, "diventerete figli dell'Uomo, e se direte: Montagna spostati! quella si sposterà."
domenica 1 settembre 2024
Settembre
Settembre col suo invisibile dito
Ricaccia la lucertola nel buco
Carezza piano il tronco del sambuco
E il plafond apre alla carta di credito.