Maracaibo, mare forza nove, andare sì ma dove, zan zan! Ed è proprio lo zan zan che fa da sigillo ai versi – puro suono senza alcun rimando semantico, come le raffiche sonore di Palazzeschi – a rimanere in testa, contribuendo a portare al successo la canzone di David Riondino nell'interpretazione prima di Lu Colombo e poi di Raffaella Carrà, quindi divenuta emblema di disimpegno nella versione di Jerry Calà in Vacanze di Natale.
Ma Zan, curiosa
coincidenza, è anche il cognome del parlamentare presente su un carro del Gay
Pride milanese insieme a Elly Schlein, e cioè Alessandro Zan firmatario
dell'omonimo DDL. Entrambi ballano intonando l'esotica canzone, ballano come si
balla al Barracuda, sì ma, continua il testo, balla nuda, zan zan.
Se lui è davvero in
parte, in lei però la sensazione di un gesto artificioso, forzato: nonostante
partecipi allo show accompagnando la voce con l'ancheggiare dei fianchi
fasciati da pantaloni bianchi (anche la scelta cromatica contraddice lo spirito
variopinto del Gay Pride), lo sguardo è quello di un testimone di Geova a un
centro prelievi. Non si sta insomma divertendo, come sarebbe del
tutto lecito in una giovane donna omosessuale, ma compie un gesto a tutti gli
effetti politico.
Nel nuovo millennio fare politica corrisponde infatti ad avere un corpo sessuato in risonanza o conflitto con l'ambiente – pensiamo alla bandana di Berlusconi, alle canottiere di Bossi, alla Meloni che saltella sulle note della taranta salentina –, e così anche il segretario del principale partito politico di opposizione ha pensato bene di collocare il suo corpo in un qui e ora fortemente connotato sessualmente. E va benissimo. Però c'è anche una domanda che un politico dovrebbe sempre porsi, riassunta nella formula latina: cui prodest?
Che giovi a lei, come
anticipato, e altamente dubitabile, ma forse anche il ritorno in termini di consenso...
Se c'è una cosa – credo l'unica – con cui si può convenire con Vannacci, è che
l'omosessualità (o più in generale una disposizione gender fluid) non
sia condizione statisticamente diffusa. Ciò non si carica di alcun giudizio morale, come non è immorale ma semplicemente poco frequente pescare a mosca.
Ai tempi dell'uscita di Maracaibo, quegli anni Ottanta in cui era ancora in vigore un sistema elettorale con suddivisione dei seggi in proporzione ai voti, si creavano liste
vagamente eccentriche: cacciatori, casalinghe, pensionati, giocatori di poker
etc. A volte facevano sorridere, ma avevano il merito di dare rappresentanza ai diritti di minoranze altrimenti in
ombra. Diritti che è giusto tutelare anche da parte di formazioni politiche che
mirano all'egemonia, senza però coincidervi come si rischia
nell'adesione incarnata a celebrazioni di gruppi ristretti, che
tali resteranno.
È solamente buon senso, ossia strategia o, ancora più terra terra, tattica, non certo essere bigotti e di conseguenza discriminatori.
Elly Schlein avrebbe potuto essere presente tra il pubblico del Gay Pride, così
legittimandolo senza identificarsi pienamente in esso, come ha fatto salendo sul
carro dei festevoli, almeno a dar credito all’etimologia di gay. Non tutti i
potenziali elettori del PD pescano a mosca, intendo.
Mio fratello è figlio unico cantava Rino Gaetano nel 1976, mio fratello è figlio unico perché è convinto che esistono ancora gli sfruttati malpagati e frustrati. Nei decenni a separarci dalla sua canzone non sono diminuiti, semmai il contrario. Il corpo del Potere, anche a Sinistra, ha però smesso di dargli pubblica rappresentanza. Restiamo in attesa di un segretario del PD che canti questa canzone, non Maracaibo, sul carro dei telefonisti precari di Amazon. Quelli che poi ti sussurrano quasi con vergogna: "Per piacere, poi può lasciarmi una recensione favorevole..."
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