Il padre di Ilaria Salis, nelle numerose interviste che concede, si esprime il più delle volte con il pronome noi: "Noi ci stiamo ancora riflettendo... noi ringraziamo gli elettori... noi ci piace il gelato al pistacchio..."
Lo trovo interessante, forse è un segno, un segno non
limitato al loro particolare rapporto – penso ai gruppi su WhatsApp delle madri di ragazzi
in età scolare, o ai padri – padri di figli contrapposti in una partita a calcetto – che fanno a pugni sugli spalti. Nel nostro tempo
sembra essersi tradotta in realtà la metafora biblica "questo è ora osso
delle mie ossa e carne della mia carne", riferita da Adamo a Eva (Genesi
2.23).
Provo a pensare ai politici dei decenni scorsi:
mi viene difficile associare lo stesso pronome di prima persona plurale al
padre di Aldo Moro, o di Enrico Berlinguer, Bettino Craxi, Giulio Andreotti (e
a dirla tutta, fatico a immaginare che Andreotti abbia mai avuto un padre, dalle cui mani ricevere lo stecco avvolto dalla nuvola di zucchero filato alle giostre. Me lo figuro emergere già formato dalla schiuma di
un qualche mare, come Afrodite la splendente. Un'Afrodite venuta così così...).
Possiamo osservare il fenomeno anche attraverso lo
specchio delle serie televisive: Eric, la serie più vista in questi giorni su
Netflix, mette in scena la disperata ricerca di un padre del proprio figlio scomparso,
che alla fine (attenzione: spoiler) riesce a riportare a casa come fa il padre
di Ilaria Salis, ricomponendo il cerchio del noi.
Può darsi che le cose siano andate come dovevano
andare: archiviati definitivamente i pugni in tasca di Bellocchio, o i
giovani che, alla maniera di Jack London e Joseph Conrad, si imbarcavano da mozzi sulla prima nave senza informarsi della destinazione, a ogni estinta utopia collettiva o, per opposto, di affermazione individuale, sopravvive una versione mediana: la famiglia, appunto. Bisogna dire che qualcuno ancora prende il mare con uno zainetto sulle spalle e una fotografia nel portafogli, ma in barconi sgangherati
salpati dalla Libia. Ecco, a quelle latitudini, probabilmente, si utilizza
ancora il pronome io.
È forse questa la ragione per cui cerchiamo di respingere i migranti con tutti i mezzi: la singolarità di esistenze
vissute in nome proprio minaccia il presepe familiare in cui è bello
addormentarsi. Qualsiasi marachella tu possa combinare, c’è sempre un padre che ti
viene a prendere in Volvo. Ma poi non si leva più dai coglioni, come fa invece John
Wayne nella memorabile sequenza finale di Sentieri selvaggi, dopo essere
andato a liberare la nipote rapita dai Comanche.
Nessun commento:
Posta un commento