Metti un po' di musica leggera perché ho voglia di niente, cantano Colapesce Dimartino in una bella canzone di pochi anni fa. La musica leggera ha sempre flirtato con il niente e con la voglia, in un indistinto desiderate che molto somiglia alla giovinezza: volere qualcosa senza essere in grado di dargli consistenza, al punto che le parole si rincorrono e confondono nel tentativo di sostituire la cosa, la cosa che non c'è. Ma esiste forse un luogo e un tempo in cui musica, parole e niente trovano una perfetta intersezione, e quella è la Parigi della seconda metà degli anni Sessanta. Le canzoni francesi non erano più belle delle canzoni italiane del periodo, ma più leggere sì, specie quando a cantarle era un formidabile quartetto di donne: Jane Birkin, France Gall, Dalida e Francoise Hardy, morta ieri e per ultima a ottant'anni, senza di lei quell'irripetibile stagione davvero si conclude. La tour Eiffel ha vegliato su artisti probabilmente più grandi – i miei preferiti sono Charles Trenet e Barbara – ma nessuno, né prima né dopo, ha saputo portare la musica leggera a quei livelli di rarefazione, e cioè appunto di gioventù. Un tema che in Francoise Hardy ha saputo trovare voce anche nel testo; una voce sempre leggera, sia chiaro, ma è proprio ciò che ha fatto decollare Tous Les Garcons Et Les Filles nel cielo sopra i jukebox di mezzo mondo. Non che si dica l'inaudito, anzi: una ragazza cammina per strada e vede gli altri giovani camminare sullo stesso marciapiedi, si guardano negli occhi, les yeux dans les yeux, si tengono affettuosamente per mano, la main dans la main, e sogna di essere al loro posto, in quello che in un'altra canzone chiamerà le temp de l'amour. In fondo la struggente vaghezza del desiderio giovanile sta tutta qui, forma aggiornata (e semplificata) dell'intuizione che porta Leopardi a comporre Il sabato del villaggio: la vita come attesa e l'attesa come vita, non c'è molto altro in mezzo, se non appunto l'amore. E dunque grazie, grazie davvero Francoise per averci restituito con tanta esattezza un sentimento a cui ora possiamo attingere solo per il tramite di una memoria sempre più sfocata. Ma basta un clic su YouTube, inserire nella barra della ricerca il tuo nome, comparirà un volto bellissimo di giovane donna, e per una volta il superlativo non è abuso retorico, per ricordarci l'enormità perduta.
mercoledì 12 giugno 2024
Il tempo dell'amore
Metti un po' di musica leggera perché ho voglia di niente, cantano Colapesce Dimartino in una bella canzone di pochi anni fa. La musica leggera ha sempre flirtato con il niente e con la voglia, in un indistinto desiderate che molto somiglia alla giovinezza: volere qualcosa senza essere in grado di dargli consistenza, al punto che le parole si rincorrono e confondono nel tentativo di sostituire la cosa, la cosa che non c'è. Ma esiste forse un luogo e un tempo in cui musica, parole e niente trovano una perfetta intersezione, e quella è la Parigi della seconda metà degli anni Sessanta. Le canzoni francesi non erano più belle delle canzoni italiane del periodo, ma più leggere sì, specie quando a cantarle era un formidabile quartetto di donne: Jane Birkin, France Gall, Dalida e Francoise Hardy, morta ieri e per ultima a ottant'anni, senza di lei quell'irripetibile stagione davvero si conclude. La tour Eiffel ha vegliato su artisti probabilmente più grandi – i miei preferiti sono Charles Trenet e Barbara – ma nessuno, né prima né dopo, ha saputo portare la musica leggera a quei livelli di rarefazione, e cioè appunto di gioventù. Un tema che in Francoise Hardy ha saputo trovare voce anche nel testo; una voce sempre leggera, sia chiaro, ma è proprio ciò che ha fatto decollare Tous Les Garcons Et Les Filles nel cielo sopra i jukebox di mezzo mondo. Non che si dica l'inaudito, anzi: una ragazza cammina per strada e vede gli altri giovani camminare sullo stesso marciapiedi, si guardano negli occhi, les yeux dans les yeux, si tengono affettuosamente per mano, la main dans la main, e sogna di essere al loro posto, in quello che in un'altra canzone chiamerà le temp de l'amour. In fondo la struggente vaghezza del desiderio giovanile sta tutta qui, forma aggiornata (e semplificata) dell'intuizione che porta Leopardi a comporre Il sabato del villaggio: la vita come attesa e l'attesa come vita, non c'è molto altro in mezzo, se non appunto l'amore. E dunque grazie, grazie davvero Francoise per averci restituito con tanta esattezza un sentimento a cui ora possiamo attingere solo per il tramite di una memoria sempre più sfocata. Ma basta un clic su YouTube, inserire nella barra della ricerca il tuo nome, comparirà un volto bellissimo di giovane donna, e per una volta il superlativo non è abuso retorico, per ricordarci l'enormità perduta.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento