Piero Gobetti suggeriva che il fascismo fosse l'autobiografia della Nazione.
Io non penso che il programma elettorale della Meloni sia fascista – cosa
lei sia nel suo intimo non mi interessa, la politica si giudica dai fatti – e
piuttosto securitario e ottusamente sovranista, in un paese che già a partire
dalla geografia (prima ancora che dall'assenza di materie prime) è destinato
alla mediazione.
Confido dunque che a quel programma miope si atterrà, senza manganelli e
olio di ricino. Ma rimane la formidabile intuizione di Gobetti, per cui siamo
una nazione vocata a destra.
Aggiungo una cosa impopolare: sono felice che questa vocazione sia stata
intercettata dal post fascismo di FDI e non, mettiamo, dal neo fascismo di
Salvini, o peggio di Paragone o altri mediocri figuri che avrebbero potuto
manifestarsi e attrarre consenso.
Giorgia Meloni mi sembra insomma il "meglio" che un paese
naturaliter destrorso si potesse augurare; e non essendo di destra, preciso, a
scanso equivoci, non è il mio meglio.
Appartengo però anche io alla biografia nazionale. Parte da lontano, come
ogni biografia, e supera oggi il 26% cento alle urne. Non per ignoranza, come
sostiene il vignettista Makkox, ma per emozioni, inconscio.
Se vogliamo cambiare biografia la psicanalisi ci insegna che l'inconscio
va interrogato con pazienza, i suoi oscuri simboli tradotti, a volte anche
condisceso secondo necessari compromessi tra cuore, cervello e pancia. Bisogna
insomma avere molto lavorato su di sé.
Cosa che questo Paese non ha nessuna intenzione di fare. E mi sembra il
dato più significativo delle presenti elezioni: rivendicare con forza ciò che
siamo, a scapito di ciò che potremmo essere.
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