Non è vero che il successo di Berlusconi derivava dalla sua capacità di rappresentare gli italiani. Nemmeno una minoranza, anche questo è falso. Berlusconi rappresentava piuttosto l'intero, quando erano, anzi sono gli italiani a disporre di una sola porzione, unita all'altra metà nella Grecia antica andava a costituire il symbolon, da cui l'odierno simbolo. Un oggetto che veniva spezzato per suggellare un accordo di qualsiasi tipo, e poteva essere rivendicato, o riconosciuto, attraverso il preciso incastro tra le due parti.
La truffa del famigerato patto con gli italiani, siglato a Porta a Porta il 18 maggio del 2001, consisteva dunque nel fatto che Berlusconi era Berlusconi anche senza gli italiani, mentre quest'ultimi avevano bisogno di lui per dire ecco, io da grande voglio diventare così (magari giusto un filino più alto). Il Cavaliere era infatti capace di azione efficace e spregiudicata, e contemporaneamente, nei rapporti personali, simpatico e un po' cazzone. Di queste qualità all'italiano medio manca la prima, come lo Zeno Cosini di Svevo non riesce a incidere su una realtà sempre più sfuggente, o per dirla alla maniera dei sociologi liquida.
Sennonché, nel frattempo, è subentrata una differenza rispetto al modello letterario dell'inetto alla vita. Quei personaggi tormentati avrebbero voluto fare bene, se non proprio il Bene, realizzare una qualche forma di talento, sarebbe bastato anche solo smettere di fumare. Ma per quanto Zeno ci provasse e riprovasse, non riusciva. Mentre all'italiano basterebbe, come Berlusconi, fare soldi, tanti soldi e soprattutto essere riconosciuto per strada. Magicamente però, non essendo tracciata la via per il successo sul navigatore satellitare di Android.
È forse l'unica novità antropologica degli ultimi decenni, a rendere del tutto inattuali anche gli altri modelli di inettitudine romanzesca – quelli di Moravia e Salinger ad esempio, o ancora prima la signora Bovary, Bartleby lo scrivano, Oblomov, il giovane dolorante Werther ecc. –, spostando i riferimenti sulla commedia all'italiana. Alberto Sordi? Sì, ma possiamo fare di meglio, trovare riferimenti ancora più precisi. In fondo Sordi ha incarnato lo smarrimento seguito a una guerra di quasi un secolo fa.
Provando a mettere a fuoco l'homo novus che si staglia sul nuovo millennio, viene così alla mente il personaggio di una formidabile canzone di Giorgio Bracardi. La strategia espressiva è basata sull'ellissi; non si tratta in effetti di un testo vero e proprio ma di segmenti verbali disarticolati, e sta all'ascoltatore ricostruire il tutto da pochi dettagli significativi (nella loro insignificanza) come appunto nel symbolon.
Prendiamo il refrain, in cui Bracardi ripete con tono festoso, vibrante di un vitalismo acefalo: "io sono stronzo, testa de cazzo..." a cui segue un coro da stadio per voce sola. Perfetta simbolizzazione dell'italiano contemporaneo, almeno nella sua versione standard, senza optional culturali, curiosità emotiva verso ogni forma di diversità. Quello che segue i canali YouTube dove si corre a duecento all'ora in Lamborghini, assumendo che le centinaia di migliaia di follower avranno pure un corpo, una mano che preme sul mouse, una mamma che dice vieni è pronto da mangiare. Oppure cerca di intravedere quel po' di fica che Chiara Ferragni sempre promette e mai mostra.
"Io sono stronzo, testa de cazzo, oeohé oeohò / Io vado a zonzo, come ‘no stronzo, oeohé oeohò /Che felicità..." E potremmo andare avanti all'infinito, mettendo il brano in loop, non c'è molto da sondare in abissi emersi in superficie, come lo stronzo evocato nella canzone. Galleggia su un mare calmo solcato solamente da qualche gommone con troppa gente a bordo – gente solo un poco più abbronzata di noi aggiungerebbe Berlusconi, che così aveva definito Obama.
Mentre lui sapeva anche essere stronzo, come no, ma solo con chi non ricambiava il suo infinito bisogno di essere amato, che lo portava a essere "testa di cazzo" nei confronti di coloro che avvertiva come nemici, fossero Enzo Biagi, Santoro o Luttazzi. Agli altri regalava sorrisi e bigiotteria. Però sapeva fare: il bene come il male, termini spesso destituiti di senso nella sua concezione efficentista della vita, per cui via il latino dalle scuole e dentro informatica e inglese. Berlusconi sapeva arare e seminare dei suoi sogni la realtà, almeno questo va riconosciuto all'uomo prima ancora che al simbolo. Già che gli Zeno Cosini 2.0 continuano ad acquistare sogni già sognati, oheoé, oheohò.
Questo però non te lo avevo letto né linkato su facebook né tra noi bloggers giurassici..🤣
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