Oggi, su Linkiesta, ho letto per la prima volta un articolo di Guia Soncini, e devo dire che l’ho trovato bello. Argomentato, ben scritto, le stilettate sarcastiche (per le quali è amata\odiata) non eccessive e infilate al punto giusto. Il tema viene ripreso in forma anaforica per tutta la durata del testo, e coincide con la formula: “la televisione ha senso solo se è orrenda.” Nulla di orrendo, al contrario, nella scrittura della Soncini, che però continuerò a non leggere. Perché?
Ci ho pensato un momento, per quanto già conoscessi la risposta. Perché
Guia Soncini mi è antipatica – la voce proprio, la faccia che non trovo per nulla
brutta, lo dico a scanso di quel sessissismo a cui si viene crocefissi per un nulla, come il sorriso vagamente sornione… Ma in fondo che ne so:
l’antipatia, il più delle volte, non possiede un motivo definito. Mi è
antipatica. Punto.
Ho poi provato a leggere qualche pagina da un libro di Fabio Volo,
scaricato dal web in forma di ebook. In questo caso non c’è però stato il
ribaltamento prospettico: Fabio Volo, ai miei occhi, è rimasto uno scrittore della domenica, come si diceva un tempo
per qualificare i pittori dilettanti, inebriati da un gesto su cui non
possiedono un controllo pieno e smaliziato, forse per il troppo amore che li
muove. Uno scrittore della domenica che scrive per un pubblico della domenica.
E fin qui nulla di male.
Ma che succede, anche una volta formulato lo sbrigativo giudizio – snob
come chiunque attribuisca al proprio gusto una misura universale –, continuo a
leggere, una pagina tira l’altra e va a finire che il libro di Fabio Volo me lo
leggo fino in fondo, lo divoro, ascolto prima ancora di leggere sentendo
risuonare la voce dello scrittore a ogni capoverso, come avviene quando si
porta una conchiglia all’orecchio. Eppure non posso ancora dire che tutto ciò
mi sia piaciuto.
Il fatto è che mi piace lui, al contrario di Guia Soncini mi è simpatico,
vorrei essergli amico e andare a mangiare la pizza con le mogli – in realtà io
non sono sposato e neppure fidanzato, ma forse la moglie di Fabio Volo ha
un’amica da presentarmi, ancora meglio se islandese come lei continuo a
crogiolarmi in una pappa di sogno. Fino a che arriva a ridestarmi una vecchia
memoria scolastica: “Amicus Plato, sed magis amica veritas”, sono amico di Platone ma ancor di più della
verità.
La frase viene attribuita ad Aristotele, anche se è dubbio che l’abbia
davvero pronunciata. Gianni Vattimo, già una trentina di anni fa, ragionava su
di essa come snodo fondamentale della cultura occidentale, in cui la verità
viene dapprima avvertita come oggettiva e separata da chi la esprime, ma in
seguito si indebolisce sempre più
fino a che il soggetto prende il sopravvento sull’oggetto, o ancora più
precisamente il senso va a confluire nella relazione: soggetto\oggetto\interlocutore.
La sintesi del suo pensiero che, per l’appunto, viene chiamato debole, ricalca tale ribaltamento: sono amico della verità, ma non esiste
verità senza amicizia, o ancora più radicalmente la verità è già nella mia
amicizia con Platone. L’uscita dalla metafisica di cui parlava Heidegger
sta in fondo tutta qui, nella rivalutazione dell’amicizia come elemento
costitutivo della verità.
Mmm… dunque vuoi dirmi che Fabio Volo scrive meglio di Guia Soncini? No,
non lo dico né lo penso. Ugualmente, continuerò a leggere scrittori che mi sono
sim-patici; e, in un tempo in cui la
simpatia non è più consegnata unicamente alla pagina, ciò implica una sorta di
regressione del mio status di lettore a livello delle scuole medie, in cui il mondo veniva diviso tra amici e rompicoglioni. Non posso infatti prescindere dall’immagine pubblica che un autore offre di sé, non posso essere
oggettivo, la filologia si fa strumento sempre più spuntato, e la
sovraesposizione mediatica (che avviene principalmente attraverso i social)
finisce col diventare un elemento fondante nel giudizio su un’opera. Da qui il successo di opere biografiche o para-biografiche, altrimenti dette d'autofiction.
La scelta di esporsi per uno scrittore andrebbe dunque valutata con molta
attenzione, sospendendo provvisoriamente anche le querimonie sul fatto che
Fabio Volo sia in testa alle classifiche, proprio lui, un comico! Quando tu giovane
scrittore così bravo, tu che e hai speso 15.000 euro per frequentare la Holden
(dove hai imparato le tecniche del cut-up
e dello stream of consciousness), tu
con trentaquattro libri venduti più uno regalato a una tipa che ti attizza, tu
questi argomenti vedi sbriciolare tra le dita, accorgendoti di essere solo la
simpatia che sei riuscito a stabilire con il lettore, fuori e dentro al testo.
Possiamo così scegliere di eclissarci e lasciare parlare solo la pagina –
ma l’assenza ha comunque un valore evocativo, come testimonia la battuta di un
vecchio film di Nanni Moretti: “Mi si nota di più se vengo e me ne sto in
disparte o se non vengo per niente?” – oppure aprire un profilo Facebook dove
sparare battute a raffica, nella speranza che qualcuno ci prenda in simpatia e
poi acquisti i nostri libri. Ma qualsiasi scelta si decida di fare, è utile
avere consapevolezza che abitiamo un tempo in cui il sentimento illusorio di
amicizia per Fabio Volo supera quello per la verità. Anche letteraria.
Io adoro la Soncini e non concepisco il fatto che Volo sia uno scrittore.
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