Un filmato sta facendo il giro del web. È stato girato l’anno scorso con la
camera nascosta nell’attrezzatura di un soldato ucraino, ma diffuso solamente
ora. Si intravede la lotta corpo a corpo che ingaggia con un militare russo, è
di etnia probabilmente yakut, dunque con fattezze asiatiche. Le immagini sono
confuse, almeno prima di raggiungere una specie di stallo, come quando nelle
zuffe infantili qualcuno gridava arimo, versione condensata di arimortis,
e ci si fermava per ripigliare fiato. Poi si ricominciava a darsela di santa
ragione o, con maggior frequenza, si andava a sciacquarsi a una fontanella,
valutando i danni agli indumenti più che alla faccia. Non era raro che si
concludesse il tutto con un Cornetto Algida da leccare assieme.
Qui però nessun gelato è previsto, se non nelle temperature esterne durante gli
scontri. Il russo è riuscito a sferrare una pugnalata che risulterà all’altro
fatale, entrambi lo intuiscono. Il primo a parlare è l’ucraino, di cui non
vediamo mai il volto: “Aspetta, lasciami morire in pace. Mi hai completamente
squarciato.” E dopo una pausa affannata: “Lasciami respirare. Fa molto male.”
Il siberiano ha un orecchio tagliato, il sangue cola sul suo volto, l'intero ovale ne è ormai ricoperto.
Replica con voce non meno ansimante: “Hai combattuto bene.”
Insiste l’ucraino: “Lasciami andare via in pace. Non toccarmi, sono finito.
Lasciami morire”. Quindi si accorge di un nuovo movimento della lama: “Uomo,
non ci provare! Lasciami morire... Vai via. Lasciami morire da solo, voglio
andarmene da solo."
Il russo riesce a liberarsi dalla mano con cui, contraddicendo le parole appena pronunciate, l’altro rimaneva avvinghiato al suo giubbotto antiproiettile.
Indietreggia. L’ucraino lo ringrazia: “Grazie. Sei il miglior guerriero del
mondo”. Poi prende fiato e ripete: “Sei stato il migliore. Addio”.
“Addio” risponde il russo. Si allontana per afferrare il fucile, ma poi ritorna
e domanda per l’ultima volta: “Come stai?”
“Bene. Addio.”
Il dialogo finisce qui, presentandosi già composto in forma di letteratura;
anche perché ho accompagnato la visione delle immagini solamente nella prima
metà, poi non ce l’ho più fatta e ho distolto lo sguardo; le frasi che riporto
le ho lette in un commento giornalistico. Ed è la prima volta (e sospetto anche
l’ultima) che scorrendo il giornale diretto da Mario Orfeo mi sembrava di udire
la voce di Omero, oppure di essere catapultato tra le pagine di Junger.
L’emozione ha generato una sorta di cambio di stato, da orrore, sgomento, è
diventata bellezza. Quando Francesco De Gregori canta che “la guerra è bella
anche se fa male” probabilmente si riferisce a una simile esperienza.
Nelle guerre antiche ce n’erano a migliaia di momenti così, rappresentavano
un’iniziazione pratica a valori – pienamente umani – come onore, rispetto,
coraggio, lealtà, abnegazione di sé verso un’ideale astratto di virtù, ad
esempio la Patria. Detto per inciso, Patria, con la maiuscola, è un concetto
che ora ci fa sorridere, ma non il sentire a esso implicito, per il quale il
perimetro angusto dell’io non rappresenterebbe il culmine dell’evoluzione. C’è
qualcosa di più grande a cui offrire (se proprio richiesto…) anche la vita,
qualcosa che ci dischiude a identificazioni allargate.
Un io più esteso ma non inclusivo, ecco. Lasciamo provvisoriamente
perdere le questioni di genere o le minoranze da tutelare. Possiamo chiamarlo noi,
possiamo chiamarlo altro o ancora meglio non chiamarlo affatto, solo
percepirlo. La bellezza della guerra sta in fondo tutta qui: è un’iniziazione
percettiva, introduce alla vastità psichica innominata e priva di confini
geografici, che la psicologia moderna cerca ingenuamente di marcare. Eppure Eraclito ci aveva avvertito: "per quanto tu possa camminare, e neppure percorrendo intera la via, tu potresti mai trovare i confini dell'anima: così profondo è il suo logos."
Ma non è l’unica iniziazione possibile, penso. A maggior ragione non lo sono le
guerre moderne, di cui l’episodio riportato rappresenta in fondo un
anacronismo, sostituito da missili, droni, gas e altre vigliacche mediazioni
tecniche, utili non a risparmiare vite umane ma a distogliere da tale
percezione: che oltre l’umano consueto (quello che alle 17.30 in punto stacca
il suo turno in ufficio) ci sia lo spazio per uno sfondamento. No, non è
l’unica iniziazione, ne sono sempre più convinto. La guerra non è l’unico modo
per squarciare l’illusione che coniuga in prima persona singolare.
Ed è allora alle nostre vite senza trauma, o trapuntate da micro traumi
sprovvisti della funzione iniziatica, che il filmato dei due combattenti
consegna il compito di andare oltre: oltre Caino che si scaglia contro Abele, oltre
l’oltre raggiunto nel rito sacrificale, oltre la guerra insomma, scrigno di una
bellezza difficilmente reperibile altrove. La loro indicazione è di non
replicarli, cercando un’estensione psichica altrettanto capiente ma che non
faccia male. Vivere in pace senza un’esperienza iniziatica di natura espansiva – la sola razionalità non ci è mai arrivata –, ora
più che mai si dimostra sterile utopia. Le numerose guerre riaccese nel mondo
ci ricordano che, per evitarle, si deve prima evitare di sostare troppo davanti
allo specchio. Ogni specchio è una menzogna da infrangere, e porta sfiga non
farlo.