domenica 2 novembre 2025

Michele e il lookdown (mi ricordo 65)

 


Mi ricordo dei giorni del lockdown pensando a Michele; mi ricordo di Michele pensando che magari oggi mi ha chiamato e io non l’ho sentito, non ho potuto sentirlo, perché l’ho bannato.

Michele è un po' tocco, diciamolo subito senza tanti giri di parole. Ma Michele è mio amico. Non mi era mai capitato di bannare il numero di telefono di un amico, ho però dovuto farlo con Michele. Il fatto è che mi chiamava nel cuore della notte. Mi sento sooolo mi diceva con accento siciliano, la vocale centrale strascicata. E io l'ho bannato.

Continua comunque a essere mio amico, ci siamo conosciuti una decina di anni fa al Bar Piero. Nei giorni del lookdown il Bar Piero era chiuso, e così ogni tanto ero io a chiamarlo. Non in piena notte come fa lui, ma verso le sette di sera quando ha finito di cenare, all'ora in cui cenano i vecchi e gli svizzeri; intanto, guarda il quiz di Amadeus in tivù.

– Conosci le risposte? – mi chiedeva.

– Alcune sì e alcune no, Michele.

– Io nessuna, conosco solo i santi.

Ed è vero: non gliene sfugge uno. Se invece di Amadeus ci fosse ancora Mike Bongiorno con le sue domande a tema, sono certo che potrebbe sbancare Rischiatutto. Argomento a scelta vita dei santi, ovviamente.

La conversazione telefonica procedeva con l’enumerazione di ciò che ha appena mangiato. Carne Simmenthal, pomodori, pane, sale, salame, sottilette Kraft, maionese, tre uova, acqua frizzante, una mela, due noci e un dattero. A Michele piace fare lunghi elenchi. Ma gli piace soprattutto mangiare, ha sempre fame, una fame come si dice atavica, simile a quella di Totò in Miseria e nobiltà.

L'unica cosa che non può mangiare sono i dolci. Sono morti di diabete la madre, il padre e soffrono della stessa malattia tre degli otto fratelli, tutti rimasti in Sicilia. Non si capisce bene perché lui invece stia qui, a Sondrio. Se glielo chiedi ti risponde io sono nordiiista, termine con cui qualifica le persone del nord Italia.

Un'altra cosa che piace fare a Michele è andare in chiesa. È capace di seguire anche due messe al giorno, oltre a numerosi rosari. Non che comprenda tutto ciò che viene detto, specie nell'omelia. Dio è una persona complicata mi ha confidato una volta. Però intanto prega: per avere una casa, meglio una fattoria, con vitelli, conigli, capretti; poi un'Harley-Davidson, un Maggiolone Volkswagen, una fidanzata nordista e così via, anche qui parte l'elenco.

Ma non prega solo per sé e la realizzazione dei suoi desideri; sui quali, va detto, ogni tanto comincia a dubitare: E non fa nieeente... In cui il soggetto implicito è con tutta evidenza Dio. Ho pregato per te e Fata Morgaaana, mi dice sempre. Fata Morgana sarebbe mia madre. Io invece sono Volpe, vai tu a capire il motivo, si diverte a dare soprannomi. Ivan, un altro amico comune, è il Generale, mentre il terzo della combriccola è semplicemente zio Luigi.

– E tu come ti chiami – gli ho chiesto un giorno, qual è il tuo soprannome?

Si è grattato il grosso capoccione per qualche secondo, poi, d'impulso, ha risposto: – Io sono il Bambino.

Il venerdì andavamo a mangiare tutti assieme in pizzeria. Il Generale, zio Luigi e io ordinavamo una pizza, mentre il Bambino due cotolette alla milanese e un uovo al burro. Lui ormai si sente nordista anche a tavola, la pasta alle sarde è memoria sbiadita e non rimpianta, roba da sudisti. Ha anche acquistato un cappello da baseball con sopra scritto: “I ❤️ Milano”. Se lo toglie solo quando va in chiesa.

Oltre ad andare in chiesa e mangiare come un porco, Michele passa il suo tempo in piazza, seduto su una panchina che sta tra la chiesa e il Bar Piero. Lì fuma e conversa un po' con tutti. È gentile e benvoluto, somiglia a un enorme cucciolo di koala. Un orsacchiotto che parla, parla, non smette mai, anche di fumare. Forse perché si sente solo, come mi ripeteva nelle telefonate notturne prima che lo bannassi. Ogni tanto ho i sensi di colpa e lo sbanno, ma giro una settimana e riecco la telefonata: 

– Mi sento sooolo.

– Ok Michele, ma sono le tre e mezza di notte...

Lui continua imperterrito come se fosse un trascurabile dettaglio: – Ieri, al Centro, una mi ha fatto una sega. 

– Una sega?! Ma non ti aveva detto il direttore che se ti scopre ancora a farti fare le seghe sono guai?

– Sì, ma mi so fatto fuuurbo.

– Furbo?

– In ascensore. Abbiamo preso l'ascensooore. Poi ho schiacciato il tasto, un tasto rooosso, l'ascensore si è bloccata. E me l'ha faaatta lì.

- Mmm...

– ...

– Quante gliene hai date?

– Le ho daaato un pacco di Camel.

– Michele, quante volte te lo devo dire che un pacchetto è troppo! La prossima volta dagli solo cinque sigarette: per una sega è fino a mai.

Conversazioni così, mentre i panettieri discutono dell'impasto e tutti gli altri dormono. D'altronde il Centro sarebbe il Centro diurno di sostegno psicologico e sociale, altrimenti detto CPS. Prima lo chiamavano manicomio, il manicomio di Sondrio, conficcato tra le vigne dove fanno un ottimo Valtellina superiore. Tra i matti ho scoperto che vige ancora il baratto, e le merci di scambio più pregiate non sono oro, incenso e mirra, ma sesso e sigarette.

Nei giorni del lookdown però era chiuso anche il Centro diurno. Niente seghe, niente Bar Piero, niente messe. A Michele rimanevano solo le domande di Amadeus – di cui però non conosce le risposte –, oltre alle sigarette e alle Simmenthal, con cui non riesce a colmare il suo disperato bisogno di compagnia. Di amore, diciamolo pure.

“Giro per la Tuscolana come un pazzo, per l’Appia come un cane senza padrone (…) a cercare fratelli che non sono più”, scriveva Pasolini in una poesia del 1964. Allo stesso modo, in pieno lockdown, Michele girava come il pazzo che è tra i piccioni posati sul sagrato della chiesa e la saracinesca sbarrata del Bar Piero, prima di sedersi sulla sua solita panchina. Da solo. Anzi, sooolo.

Quando Dean Martin attacca la prima strofa di Volare, la suoneria che ho impostato nel mio smartphone, se sono passate le dieci di sera penso sempre sia Michele, anche se magari è una badante ucraina che ha sbagliato numero: Ciao Olga carissima, sono Myroslava. Non sono Olga. Poi mi ricordo che il suo numero è fuori gioco e tiro un sospiro che, non ho ancora capito, se sia di sollievo o di rimpianto.

Nei giorni del lookdown ci si telefonava più spesso del solito. In quel periodo mi ha chiamato un conoscente che non sentivo da tempo, raccontandomi che è passato in piazza Campello per andare a fare un bancomat. 

– Oh, non puoi crederci – mi ha detto col tono di chi è appena uscito dalla grotta della paura –, mai vista la città così deserta. Alle sei di pomeriggio non c'era anima viva, solamente un tipo grasso con un cappellino da baseball. Stava seduto su una panchina, tutto da una parte, come se aspettasse qualcuno. Intanto si accendeva una sigaretta con il mozzicone della precedente.

– È il Bambino – gli ho detto io.

– Chi?

– Non importa.

Quando la conversazione è terminata ho pensato che il Covid non è stato solo grafici, plateau del contagio, pallottoliere dei morti, medici e infermieri eroici ed economia, bisogna far ripartire l’economia tuonava la Confindustria. È stato anche Michele e la sua panchina. Su cui forse si domandava, come di fronte alle domande di Amadeus:

Ma quante sigarette bisogna dare a Dio per tornare a farci fare le seghe in ascensore…?

Nessun commento:

Posta un commento