È tornato l'Uomo dell'inverno. Viene chiamato così perché nessuno ne conosce l'identità, da quarant'anni compare solo nei mesi invernali – oggi si è manifestato di fronte all'Ufficio postale di Sondrio – indossando abiti che appaiono incongrui sia al luogo sia alla stagione, sempre gli stessi come le maschere della commedia dell'arte: cappellaccio da cowboy, stivali texani, gilè nero in pelle e camicia di flanella a stampa scozzese, con i primi due bottoni schiusi. Mentre percorreva il marciapiedi leggermente proteso in avanti imprecava contro il donnino (in senso puramente letterale, fisico) che da uguale tempo lo segue. Lei tre o quattro passi dietro, capo chino, gravata di pesi alla maniera di un mulo. Con la mano destra sorregge un sacchetto della spesa e sulla stessa spalla ha un borsone ricolmo, a tratti ne fanno vacillare il passo, ma con uno sforzo caparbio subito ritrova la verticalità, si rimette in scia come nello sci d'acqua, dove non si può sfuggire alla schiuma bianca del motoscafo. Lui si guarda bene dall'aiutarla o attenderla per camminare al suo fianco, sarebbe l'infrazione di una regola probabilmente mai detta, una prossemica nella quale non sono ammesse varianti, quasi un rituale, si mormora di buon auspicio per chi li incroci per caso. Nemmeno i corpi sembrano mutare al passare dei decenni, si potrebbe pensarli congelati in un eterno presente, a conferma della natura invernale di entrambi. Ma perché invece di andare a vedere l'ultimo film della Cortellesi non venite a farvi un giro dalle mie parti? Se volete capire cosa significa il termine patriarcato, qui c'è l'arrosto e non il fumo.
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