Lo so che l'ho già scritto, che non si dovrebbe
scrivere. Ma continuo a vivere con disagio la ricezione di quel che posto su
Facebook. Se il tono è intimidatorio, aggressivo, indignato o comunque sia presente un nemico reale o metaforico, meglio ancora se per affrontarlo si faccia ricorso all’arma bianca del sarcasmo, bingo,
colpito e affondato.
Lo stesso, in tempo di pace, ottiene un atteggiamento
ilare, scanzonato, pettegolo, ammiccante, compiacente, patetico, garrulo e di aggettivi ce ne sarebbero a bizzeffe, il tutto sigillato dentro
una confezione aforistica, barzellettiera. In questi casi faccio il pieno
di like; pieno si fa ovviamente per dire, sono un facebooker di nicchia, per usare un eufemismo.
Diversamente, quando mi sforzo di scrivere delle cose
semplicemente belle – che lo siano o meno è un altro paio di maniche – vengo
regolarmente ignorato; con l'eccezione di chi mi segue con indulgente
benevolenza, che colgo l'occasione per ringraziare.
Ora dovrei avere imparato anche un'altra cosa,
Marshall McLuhan la scrisse nel 1967, the medium is the message, il
mezzo è il messaggio, e proviamo allora a capire quale sia il messaggio che ti
restituisce lo specchio di Facebook, lo fa attraverso la forma simbolica che gli
è propria, e cioè ancora una volta il gradimento dei tuoi contatti espresso con
un pollicione blu.
Fatti furbo, ecco cosa ti dice il mezzo-messaggio
tutte le mattine quando ti fiondi sui social network per vedere se sei ancora
vivo, la tua presenza può essere obliterata solo da un'attenzione
differita, non c'è più, non c'è mai stata per la nostra generazione, la fioraia all'angolo a dirti buongiorno signor Guido,
che bel bastone da passeggio. Grazie, buongiorno a lei Caterina, le sue rose
oggi mi sembrano più profumate del solito, me ne dia una da infilare nell'asola
della giacca.
No, sono vivo se al mio risveglio trovo una
manciata di like, o dei commenti con cui darsi di gomito, emoticon che
strizzano l'occhio, cuoricini, ma per ottenerli devi farti furbo. E con
furbo si intende un poco stronzo e ridanciano, ma come Lupo de Lupis, che è lupo, sì, ma pure tanto buonino, sempre pronto a intonare una canzone stappa lacrime, restituendo i like a chi te li offre per ricomporre una famiglia virtuale, una tribù di simili al ribasso.
Detto con le parole di un poeta, e poeti non ce ne sono tanti nel mondo, ne nascono tre o quattro soltanto in un secolo ricordò Moravia alla sua morte, detto con le parole di Pasolini ti insegneranno a non splendere. E tu splendi invece.
Ma è difficile farlo quando si è costantemente braccati dall'ombra, che oscura
ogni tuo minimo sforzo ti farti un poco migliore, più articolato e complesso, immaginifico. O se si preferisce splendente, appunto.
L'unica è seguire il precetto evangelico: lascia case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi... Ma devo lasciare anche i like? Sì, anche quelli. E cosa ci guadagno, la vita eterna? No, la vita interna, la vita in io, che per chi non l'avesse ancora capito è il diminutivo di Dio. Ma un io un tantino
più grande della taglia extra small che vorrebbe farti vestire Facebook.
Nessun commento:
Posta un commento