Michele è un po'
tocco, diciamolo subito senza tanti giri di parole. Ma Michele è mio
amico. Non mi era mai capitato di bannare il numero di telefono di un mio
amico, ho però dovuto farlo con Michele. Il fatto è che mi chiamava nel cuore
della notte. Mi sento sooolo mi diceva con accento siciliano, la vocale
centrale strascicata. E io l'ho bannato.
Continua comunque a essere mio amico, ci siamo conosciuti una decina di anni fa al Bar Piero. Adesso il Bar Piero è chiuso per via del lockdown, e così ogni tanto sono io a chiamarlo. Non in piena notte ma verso le sette di sera, quando ha finito di cenare all'ora in cui cenano i vecchi e gli svizzeri; intanto, guarda il quiz di Amadeus in tivù.
– Conosci le risposte? – mi chiede.
– Alcune sì e alcune no, Michele.
– Io nessuna, conosco solo i nomi dei santi.
Ed è vero: non gliene
sfugge uno! Se invece di Amadeus ci fosse ancora Mike Bongiorno con le sue domande a tema, sono certo che potrebbe sbancare Rischiatutto. Argomento a scelta vita dei santi, ovviamente.
La conversazione telefonica procede con l’enumerazione di ciò che
ha appena mangiato. Carne Simmenthal, pomodori, pane, sale, salame, sottilette
Kraft, maionese, tre uova, acqua frizzante, una mela, due noci e un dattero. A Michele piace
fare lunghi elenchi. Ma gli piace soprattutto mangiare, ha sempre fame, una
fame come si dice atavica, simile a quella di Totò in Miseria
e nobiltà.
L'unica cosa che non può mangiare sono i dolci. Sono morti di diabete la
madre, il padre e soffrono della stessa malattia tre degli otto fratelli, tutti rimasti in Sicilia. Non si
capisce bene perché lui invece stia qui, a Sondrio. Se glielo chiedi ti
risponde io sono nordista, termine con cui qualifica le persone del nord Italia, i western non c'entrano nulla, aggiungendo che in Sicilia ci sta la maaafia. Ma altre volte dice che la mafia aiuta i deboli, i mafiosi so braaavi. Non si capisce e basta.
Un'altra cosa che piace fare a Michele è andare in chiesa. È
capace di seguire anche due messe al giorno, oltre a numerosi rosari. Non che
comprenda tutto ciò che viene detto, specie nell'omelia. Dio è una persona
complicata mi ha confidato una volta. Però intanto prega: per avere una casa,
meglio una fattoria, con vitelli, conigli, capretti; poi un'Harley-Davidson, un
Maggiolone Volkswagen, una fidanzata nordista e così via, anche qui parte
l'elenco.
Ma non prega solo per sé e la realizzazione dei suoi desiderata;
sui quali, va detto, ogni tanto comincia a dubitare: E non fa nieeente... In
cui il soggetto implicito è con tutta evidenza Dio. Ho pregato per te e
Fata Morgaaana, mi dice sempre. Fata Morgana sarebbe mia madre. Io invece sono
Volpe, vai tu a capire il motivo, si diverte a dare soprannomi. Ivan, un altro
amico comune, è il Generale, mentre il terzo della combriccola è semplicemente
zio Luigi.
– E tu come ti chiami – gli ho chiesto un giorno, qual è il tuo soprannome?
Si è grattato il grosso capoccione per qualche secondo, poi, d'impulso, ha risposto: – Io sono il Bambino.
Il venerdì andavamo a mangiare tutti assieme in pizzeria, ovviamente pagavamo
noi. Il Generale, zio Luigi e io ordinavamo una pizza, ognuno sempre la stessa, metodici, mentre il Bambino due
cotolette alla milanese e un uovo al burro. Lui ormai si sente nordista anche a tavola, la pasta alle sarde è memoria sbiadita e non rimpianta, roba da sudisti. Ha
anche acquistato un cappello da baseball con sopra scritto: Milano caput mundi.
Se lo toglie solo quando va in chiesa.
Oltre ad andare in chiesa e al Bar Piero e mangiare come un porco,
Michele passa il suo tempo in piazza, seduto su una panchina che sta tra la
chiesa e il Bar Piero. Lì fuma e conversa o, meglio, conversava un po' con tutti. È gentile e benvoluto, somiglia a un
enorme cucciolo di coala. Un orsacchiotto che parla, parla, non smette mai, anche di fumare.
Forse perché si sente solo, come mi ripeteva nelle telefonate notturne, prima
che lo bannassi.
Ogni tanto ho i sensi di colpa e lo sbanno, ma giro una settimana e riecco la telefonata:
– Mi sento sooolo.
– Ok Michele, ma sono le tre e mezza di notte...
Lui continua imperterrito come se fosse un trascurabile dettaglio: – Ieri, al Centro, una mi ha fatto una sega.
– Una sega?! Ma non ti aveva detto il Direttore che se ti scopre ancora a farti fare le seghe sono guai?
– Sì, ma mi so fatto fuuurbo.
– Furbo?
– In ascensore. Abbiamo preeeso l'ascensore. Poi ho schiacciato il tasto, un tasto rooosso, l'ascensore si è bloccata. E me l'ha faaatta lì.
- Mmm...
– ...
– Quante gliene hai date?
– Le ho daaato un pacco di Camel.
– Michele, quante volte te lo devo dire che un pacchetto è troppo! La prossima volta dagli solo cinque sigarette: per una sega è fino a mai.
Conversazioni così, mentre i panettieri discutono dell'impasto e
tutti gli altri dormono. Ma già l'ho anticipato che Michele è un po' tocco, e
il Centro sarebbe il Centro diurno di sostegno psicologico e sociale,
altrimenti detto CPS. Prima lo chiamavano manicomio, il manicomio di Sondrio,
conficcato tra le vigne dove fanno un ottimo Valtellina superiore. Tra i matti
ho scoperto che vige ancora il baratto, e le merci di scambio più pregiate non
sono oro, incenso e mirra, ma sesso e sigarette.
Adesso però è chiuso anche il Centro diurno, per via della pandemia. Niente seghe, niente
Bar Piero, niente messe. A Michele rimangono solo le domande di Amadeus – di cui però
non conosce le risposte –, oltre alle sigarette e alle Simmenthal, con cui non
riesce a colmare il suo disperato bisogno di compagnia. Di amici, diciamolo
pure.
“Giro per la Tuscolana come un pazzo, per l’Appia come un cane
senza padrone (…) a cercare fratelli che non sono più”, scriveva Pasolini in
una poesia del 1964. E così ogni giorno, in pieno lockdown, Michele gira come il pazzo che è tra i piccioni posati sul sagrato della chiesa e
la saracinesca sbarrata del Bar Piero, prima di sedersi sulla sua solita
panchina. Da solo. Anzi, sooolo.
Quando Dean Martin attacca la prima strofa di Volare, la suoneria che ho impostato nel mio smartphone, se sono
passate le dieci di sera penso sempre sia Michele, anche se magari è una badante
ucraina che ha sbagliato numero: Ciao Olga carissima, sono Myroslava. Non sono
Olga. Poi mi ricordo che il suo numero è fuori gioco e tiro un sospiro che, non
ho ancora capito, se sia di sollievo o di rimpianto.
L’ultima volta era un mio vecchio conoscente, mi raccontava che è passato in piazza Campello per andare a fare un bancomat.
– Oh, non puoi crederci – mi ha detto come se fosse appena uscito dalla grotta della paura –, mai vista la città così deserta. Alle sei di pomeriggio non c'era anima viva, solamente un tipo grasso con un cappellino da baseball. Stava seduto su una panchina, tutto da una parte, come se aspettasse qualcuno. Intanto si accendeva una sigaretta con il mozzicone della precedente.
– È il Bambino – gli ho detto io.
– Chi?
– Non importa.
Quando la conversazione è terminata ho pensato che il Covid non è solo grafici, plateau del contagio, pallottoliere dei morti, medici e infermieri eroici ed economia, bisogna far ripartire l’economia tuona la Confindustria! No, è anche Michele e la sua panchina. Su cui forse si sta ancora chiedendo, come di fronte alle domande di Amadeus:
Ma quante sigarette bisogna dare a Dio per tornare a farci fare le seghe in ascensore, e a mangiare cotolette con il Generale, la Volpe e zio Luigi...
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