Mi ricordo mio nonno Pinin che dice con tono
perentorio: “Non guardate la fiamma del saldatore!” In testa ha un cappelletto
marrone di velluto a coste, con una mano tiene stretta la mano di mio cugino Paolo
e con l’altra la mia; siamo fermi a osservare un cantiere stradale. Insieme a noi
ci sono altri nonni con i nipoti in età prescolare, pensionati, il geometra lo si riconosce
dal fatto che non indossa la tuta blu e porta i Ray-Ban con le lenti verdi a
goccia. Nel minimo pubblico c’è anche uno scemo. Grida suggerimenti, interviene mentre viene rimosso
il chiusino di ghisa di un tombino, non si capisce bene questa volta
cosa voglia; in ogni caso, nessuno gli avrebbe dato retta. “Non guardate la
fiamma del saldatore” ripete il nonno.” Si chiama fiamma ossidrica” dice mio
cugino Paolo, che ha un anno più di me e già conosce le parole difficili. “Chiamatela
come volete, ma non guardatela! Se no diventate ciechi.” E nell’udire quel termine giriamo immediatamente la testa dall’altra parte; non la stessa parte però:
io guardo lo scemo e mio cugino una carriola colma di malta. Da quel giorno,
ogni volta che incrocio qualcuno saldare – non lo riconosco dalla fiamma,
naturalmente, ho imparato fin troppo bene la lezione, ma dalla maschera che impugna e lo rende
simile alla Morte Nera in Guerre Stellari – distolgo immediatamente lo sguardo
e istintivamente cerco la presenza di uno scemo; in genere lo trovo sempre, ce
ne sono tanti in giro. A quel punto rimango imbambolato a fissarlo, c’è qualcosa
nella sua scemenza che mi cattura, forse lo associo al pericolo scampato per i
miei occhi, o magari fa da riflesso a una parte di me brutta per gli altri, ma
a me piace come il bambino che si inorgoglisce nell’osservare la propria cacca.
Resta da capire se anche mio cugino Paolo ancora si incanta di fronte alle
carriole colme di malta.
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