Scocca gelido, almeno qui al confine con la Svizzera, dicembre, tempo di bilanci annuali. Ciò vale anche per la presenza sui social, una parte residuale – ma in fondo nemmeno troppo residuale – della mia vita.
Per una curiosa coincidenza, questo mese ho pubblicato
il post con cui ho ottenuto il maggior numero di consensi dell’intero anno (122
tra like, cuoricini ed emoticon vari) e quello con il numero minore (10;
comunque dieci persone che si sono prese qualche minuto da dedicarmi, cosa non
così scontata e per cui li ringrazio).
Ciò che mi fa riflettere è la diversa natura dei due
post. Nel vincitore, chiamiamolo così, è presente una sorta di nemico, anzi due
nemici: Chiara Ferragni e Giovanni Tronchetti Provera, neo fidanzati su cui
faccio un po’ di ironia, scivolando a tratti nel sarcasmo. La cornice
sociologica, il riferimento a Kafka e Pasolini, il tono burlesco in cui
inquadro il tutto non bastano a cancellare questa punta di livore. Diciamo che
non sono particolarmente orgoglioso di quel testo.
Nell’altro post l'atteggiamento è ribaltato: non
l'antipatia verso due vincenti, ma la simpatia verso un perdente assoluto, di
cui assumo indirettamente la prospettiva; con le debite sproporzioni, è quanto
fa Nick Carraway con Jay Gastby. A differenza del capolavoro di Fitzgerald, non
si tratta però della perdita dell’amata, ma è la radicale sconfitta nel perdere
la dignità. Ciò avviene attraverso il più sciagurato evento simbolico: cagarsi
addosso in pubblico. È quanto capita a Giovanni, un mio compagno di classe in
seconda elementare.
Ma proviamo a individuare altre differenze, la
lunghezza è più o meno simile e ridotta, non si tratta dunque di quello ad aver
sperequato il consenso. Giovanni è piccolo, inerme, taciturno e con gli
occhiali da vista; tutti ridono di lui, compreso il me di allora. Ferragni e
Tronchetti Provera non sono invece piccoli e piuttosto giovani, più giovani
della maggior parte delle persone che hanno lasciato un like, oltre che più
belli, ricchi, famosi. Gettargli addosso un po’ della merda di Giovanni
potrebbe essere un gesto di compensazione, alla maniera della pernacchia di
Eduardo in ‘L'Oro di Napoli’. E sono pure più paraculetti, per usare il nuovo
aggettivo salito alle cronache; ma così riacciuffo il registro del rancore da
cui sto provando a staccarmi.
Stiamo allora ai numeri. Lo scherno è più remunerativo
della compassione nella misura del 1200%, almeno sui social; ricordiamoci
sempre del contesto di lettura. Un dato che dovrebbe portare a meditare, o
perlomeno io ci sto provando. E la prima domanda che mi faccio è: per chi
scrivo quando scrivo? Non una pagina di diario, intendo, ma un testo destinato
a un pubblico, a dei lettori. Se la destinazione agisse retrospettivamente,
come in fondo è normale nella maggior parte delle attività – il panettiere che non
vende prova a mutare i tempi di cottura, il lievito, le farine; o quale estrema
disperata mossa, assume una commessa più procace –, dovrei guardare al post
vincente come modello, e cercare di ripetermi per accrescere le manifestazioni di gradimento, da cui
l'algoritmo di Facebook pesca per determinare la diffusione dei contenuti. È il
cosiddetto effetto valanga, a trasformare le persone in influencer. Ora che ho
capito il meccanismo mi si spalancano i cancelli della notorietà…
Però non è ciò che ho fatto, e potrei allora
concludere dicendo che scrivo per me. Ma non è nemmeno questo, già che il passo
conseguente – non compiuto – avrebbe dovuto essere cancellarmi l'istante dopo
dai social. In via provvisoria mi sembra così di poter collocare la mia
risposta in un punto intermedio; non so bene dove indentificarlo, ma mi è
chiara almeno una cosa: mi piace quando gli altri mi dicono bravo, sono
rallegrato nel ricevere il loro plauso, tanti like tanto amore. Ma il godimento
da consenso non può mai dissociarsi dall’identificazione che ho con il testo, e
deve riflettere una parte significativa di me, un mio modo di essere e sentire.
Il sarcasmo con cui ho scritto di Chiara Ferragni e
Tronchetti Provera mi riflette pochissimo, mentre c’è molto di me nello sguardo
affettuoso verso Giovanni e la sua sconfitta. Quindi sono molto più orgoglioso
di quei 10 like che degli altri 122. Di cui comunque, anche in questo caso,
ringrazio. Non si sputa nel piatto dove si mangia pappa di sogno.
(Per chi non li avesse letti e volesse farlo ora,
copio di seguito i due testi.)
Post perdente:
Mi ricordo del busto esile e ritto di
Giovanni, spunta appena dallo schienale della sedia, le braccia immobili e
composte lungo i fianchi. Uno per uno gli altri compagni lasciano il loro posto
e si incamminano verso la maestra, che ci attende sulla pedana della cattedra.
Qui afferra un lembo dei pantaloni o della gonna e scruta nelle mutande,
esamina, manda assolti con un gesto che ricorda i giudizi scolastici, un voto
in pagella tra gli altri. Promosso! La maestra Maccarone, alito di caffè, ha
sempre avuto uno spiccato senso del teatro, eredità forse della sua regione di
provenienza.
Solo Giovanni si rifiuta di alzarsi e
raggiungere il proscenio, e da ciò intuiamo che deve esserci un qualche
rapporto tra lui e l'odore che da qualche minuto ha iniziato a diffondersi
nell'aula, sempre più intenso e penetrante. Farsi la cacca addosso è una brutta
grana, anche se frequenti la seconda elementare.
Dall’altro versante della
rappresentazione, la gioia feroce nell'essere riconosciuti innocenti e quindi
meritevoli, le braccia alzate del pugile proclamato vincitore. Rido insieme
agli altri, puzzone, puzzone smerdolone diciamo rivolti al colpevole, finalmente
smascherato. La legge del branco non è meno implacabile per i cuccioli.
Intanto, gli occhietti azzurri di Giovanni cominciano a inumidirsi, la
massiccia montatura in celluloide degli occhiali è l’unico argine a sua difesa.
E così continua a rimanere immobile, più simile alla fotografia che non al
teatro o al cinematografo, in effetti. È un totem.
Una lava marroncina intacca la fissità
dello scatto, la vediamo tutti e le risate si fanno ancora più forti, cola
dalla seduta in faggio chiaro, discende i tubolari in ferro della sedia, si
diffonde sulle piastrelle sintetiche del pavimento. E insieme a quella
cominciano a sgorgare dalle palpebre i primi goccioloni.
Ora il totem si è trasformato in vulcano,
ma senza sonoro. Questo è Giovanni. Il suo talento è il disegno, è l'unico
della classe che sa già disegnare un cavallo, all'intervallo mangia il panino
col salame preparato dalla mamma, parla poco, sorride molto. Un vulcano da cui
dolcemente eruttano lacrime e merda, merda e lacrime silenziose.
Post vincente:
La neo coppia composta da Chiara Ferragni
e Giovanni Tronchetti Provera rappresenta una sintesi mirabile di ciò che
Pasolini chiamava mutazione antropologica. Il problema non sono dunque loro, ma
il fatto che simili facce da cui trasuda il fatturato (vero o presunto) le si
incontrino ovunque, basta farsi un giro in un centro commerciale il sabato
pomeriggio: quei nasini, quei sorrisini, quegli occhiettini azzurrini e vacui
sono diventati la norma, non più l'eccezione. E anche quell'indicibile
desiderio di prenderli a calci in culo. È però una tentazione a cui bisogna
resistere, non solo per le conseguenze a cui andremmo incontro – lasciamo
provvisoriamente tra parentesi la morale, anche avere una faccia del genere è
infatti immorale –, ma perché non possiamo escludere di svegliarci una mattina
e vedere le medesime insulse fattezze riflesse nello specchio del bagno. Se
Kafka riscrivesse oggi il suo racconto, non in scarafaggio, ma in Tronchetti
Provera Junior trasformerebbe Gregor Samsa.
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