La storia si ripete sempre due volte… Della vicenda che coinvolge Leonardo Caffo e il suo invito a Più libri, più liberi, la manifestazione letteraria romana diretta da Chiara Valerio, con le successive polemiche legate alle accuse dell’ex compagna di Caffo di stalking e violenze private, quindi la rinuncia a partecipare del giovane filosofo antispecista (addirittura ha adombrato il suicidio), la Valerio lo difende appoggiandosi al principio di presunzione di innocenza, poi però cambia idea e mica è detto sia finita qui... insomma, a me, di tutta questa infinita pantomima, più che altro risuona il famoso aforisma di Karl Marx: La storia si ripete sempre due volte: la prima come tragedia, la seconda come farsa.
Ma arriviamoci per gradi, la forma
interrogativa ci è forse d'aiuto. Possiamo, è intellettualmente lecito intendo,
identificare Caffo come un brutale rappresentante del patriarcato, seguendo una
tendenza a cui i social fanno da consueto volano? Di conseguenza, Chiara
Valerio avrebbe tradito il patto di sorellanza: è una rinnegata! viene detto da
più parti.
Massì, possiamo, possiamo dire ciò che ci pare, e infatti lo stiamo facendo. Come cantava Giorgio Gaber: viviamo in un tempo in cui tutto si può, compreso farsi una bella lega. Ma se andiamo a leggere le carte processuali e fermo restando la presunta innocenza dell'imputato – su questo ha perfettamente ragione Valerio –, scopriamo che, dopo le violenze di cui è accusato, Caffo sarebbe ogni volta svenuto, o avrebbe supplicato la fidanzata malmenata di chiamare soccorsi: per lui, beninteso. Non per lei. Già che l’avere scoperchiato il vaso di Pandora della propria aggressività gli avrebbe procurato degli attacchi di panico. È la stessa donna ad averlo dichiarato alla magistratura inquirente, non la sceneggiatura di un film con protagonista Christian De Sica: "Amo', chiamame 'n ambulanza, dai, movete... me sta a girà tutto."
La vicenda ripropone una questione
urgente: l’aggiornamento del vocabolario, come viene fatto l’update delle app
sullo smartphone è necessario aggiornare le parole. La parola fascismo, ad
esempio. Il fascismo è terminato il 27 luglio del 1945, non esistono rischi che
si riproponga con gli stessi abiti in orbace. Eppure, nell’intero Occidente
stiamo vivendo una recrudescenza di culture politiche autoritarie, al fascismo
possono essere associate per via simbolica, ma possiedono una natura specifica e
specifiche finalità. Dargli un nome nuovo e più appropriato è funzionale a
combatterle.
Allo stesso modo, il patriarcato rappresenta
una struttura economica e sociale che ha dominato incontrastata a partire dal
primo millennio a.C. – una precedente epoca matriarcale è per la verità solo ipotetica, ma alcuni indizi non ne escludono la possibilità –,
estendendosi con minime variazioni fino al 1600, quando è cominciata a entrare
in crisi. Questa temporizzazione, suggerita da Massimo Cacciari, la ricaviamo
dalle opere di Shakespeare, dove troviamo figure maschili sempre più smarrite e
incerte nei confronti delle donne. Crisi che si approfondisce con la
rivoluzione industriale e l’urbanizzazione, a cui è seguita, nell’Ottocento, l’affermazione
della borghesia cittadina (pensiamo a Carlo Bovary, come Amleto altro esempio
di maschio post patriarcale) per trovare definitiva dissoluzione con i
movimenti del '68.
Da oltre cinquant’anni è dunque improprio
parlare di patriarcato, per quanto sia rimasto un primato maschile che riguarda
la società a tutti i livelli: politico, economico, sportivo, perfino la
sessualità ne è coinvolta. E se le violenze sulle donne sono sempre esistite, viene
il sospetto che ne sia mutata la natura: da famigliare e quotidiana, quale vediamo
nel film della Cortellesi, si è passati a episodi di violenza meno diffusi ma
più distruttivi, che prendono il nome di femminicidi – nel 2023 abbiamo avuto,
solo in Italia e in base ai dati Istat, 96 femminicidi. Un dato quasi
triplicato rispetto agli anni Novanta.
Eppure, nemmeno io so come definirlo, ma non si tratta di patriarcato,
perché non riguarda un sistema sociale organico, la condizione delle donne di
Atene nel V secolo era ben diversa. Una delle ipotesi messe in campo dalla
psicologia sociale è che questi episodi rappresentino, per paradosso, proprio
la conferma dell’implosione del modello patriarcale, che lascia i maschi meno
attrezzati emotivamente senza strumenti (se non appunto la forza) per gestire
la conquistata autonomia femminile. Tocca così trovare una nuova parola, come per
l’autoritarismo a matrice plebiscitaria e nazionalistica; che ripetiamo non è fascismo, si apre anche in questo caso una voragine linguistica da colmare.
Senza le parole giuste le cose non vengono infatti comprese, e, senza
comprensione, opporsi risulta caotico e soprattutto velleitario.
Nessun commento:
Posta un commento