A tutti può capitare di sbagliare una citazione, e
non c'è niente di più triste di programmi come Paperissima, in
cui si sghignazza degli inciampi altrui. Specie quando oggetto dello scherno è
Donatella Di Cesare, una pensatrice dal passo generalmente sicuro. Il rispetto
che nutro nei suoi confronti mi porta dunque ad approfondirne il pensiero, non
a irriderlo.
Partiamo allora dal concetto di giudizio. Il giudizio,
nella sua postura asimmetrica, presuppone una distanza critica dall'oggetto su cui si sofferma, prima di alzare una paletta con inciso sopra un sì, un no, un numero, come al concorso di Miss Italia, in cui la giuria si pone sempre una spanna sopra alle lunghe gambe delle ragazze che sfilano. Da qui
l'ammonimento evangelico a non giudicare se non si vuole essere giudicati.
Comprendere è invece una disposizione del pensiero in prossimità, non di rado si avvale dell'empatia, del riconoscimento di una specularità tra dentro e fuori, come si ricava dalla scomposizione del termine nei suoi costituenti semantici: prendere con. Ma poi, avrei voluto rispondere a Donatella Di Cesare, poi cosa fare con ciò che abbiamo com-preso, fatto nostro dentro una ricostruzione che non potrà mai essere definitiva e certa, ma che con onestà intellettuale si fa carico dello sforzo nel discriminare?
Posso ad esempio aver compreso che, dopo il 1991, la Nato si è espansa a lambire i confini della Russia, contravvenendo alle promesse verbali fatte da George Bush a Gorbačëv; oppure che esiste una consistente presenza russofona (e russofila) nella zona del Donbass, la quale ha vissuto con disagio e timore il ribaltamento politico avvenuto in Ucraina nel 2014, dopo le proteste di piazza Majdan e la fuga di Yanukovich, in quello che potrebbe essere stato un colpo di stato sostenuto dagli Stati Uniti e da gruppi di estrema destra (fermo restando che Zelensky è stato eletto in seguito col 73% dei consensi). Ma poi, di nuovo, ciò legittima una secessione, una guerra, l'invasione dei tank russi?
È solo una domanda. E però
sdrucciolevolissima, già che una risposta affermativa rappresenterebbe un precedente ad altre simili rivendicazioni
(tra cui l'indipendenza dell'Alto Adige dall'Italia), mentre se la risposta
fosse negativa potrebbe essere interpretata in chiave repressiva rispetto al diritto di autodeterminazione dei popoli.
Da qui la costatazione che la verità "non sta mai da una parte sola", d'accordo, è un claim di saggezza che abbiamo imparato a pronunciare a pappagallo, ma neppure esattamente nel mezzo. La verità, o, meglio, la scaturigine dei fatti e la risposta che a essi offriamo a titolo sempre personale, come la torre di Pisa propende da un verso piuttosto che dall'altro, e l'esercizio umano della comprensione a un certo punto deve raggiungere un termine, per tradursi in determinazione. Ciò che viene determinato sono i gradi dello sbilanciamento – da una parte, o magari dalla parte opposta –, che pur non facendo velo alla comprensione suggerisce la direttrice dell'azione.
Azione, ma cosa c'entra ora l'azione: non avevamo
detto che si deve prima comprendere e poi determinare? Sì, ma se lo stare al mondo fosse uno sport, più che al salto in alto, o in lungo,
somiglierebbe al salto triplo: il primo balzo è quello della comprensione; il secondo
della determinazione; e infine l’ultimo colpo di reni, a sbalzarci nel
perimetro sabbioso dell’azione. D'altronde la stessa Donatella Di Cesare,
invece di avventurarsi in una citazione letteraria (sbagliata), avrebbe potuto
guardare al giardino di casa, e ricordare la più celebre affermazione di Marx,
sta scritta perfino sul marmo della tomba: "i filosofi si sono
limitati ad interpretare il mondo in modi diversi; si tratta ora di
trasformarlo”.
Nella circostanza, trasformare il mondo significa
muoversi al suo interno rinunciando a quella disposizione conciliata che i filosofi chiamano atarassia –
non scelgo, non mi schiero, ma rimango alla finestra da cui cerco di
comprendere ciò che accade, senza mutarlo – e infine assumersi la
responsabilità di un'azione discrezionale, che porta a conseguenze di cui pure
si deve essere responsabili, in quanto nuovamente di parte. Parte, partito, partigiano, partorire (un figlio ma anche
un'opera d'arte, un'idea), tutti termini che hanno comune radice nell'umano, già
che il Tutto è riserva di caccia di Dio. E non c'è hybris più
grande di chi rifugge le ragioni della propria parte per scimmiottare la voce
di Dio.
Per l’insieme delle ragioni che ho provato a sintetizzare, sono contrario ad accondiscendere alla richiesta di Zelensky di una no fly zone (come più volte ripetuto, potrebbe innescare reazioni a catena che conducono a un conflitto nucleare su scala mondiale), mentre sono favorevole alle proposte sottoscritte da Bernard-Henri Lévy, Sean Penn e Salman Rushdie su sanzioni economiche e informatiche ancora più severe da applicare alla Russia, oltre che all'invio di armi tattiche all'Ucraina. Non dico che ciò sia sufficiente, né tantomeno che rappresenti la verità, ma è la parte che ho deciso di abitare nel Tutto. O se si preferisce, è la conclusione del mio salto triplo.
Mi auguro che Donatella Di Cesare, che è donna di grande intelligenza e cultura, sappia e voglia fare anche lei i due salti successivi alla comprensione; poco importa se ricalcherà o meno le mie orme, sarà comunque la sua parte nello spettacolo della vita. Vederla arrestarsi come un mulo cocciuto, senza scegliere, senza agire, induce tristezza e sconcerto.
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