Vedendo Federico
Rampini in televisione, ieri sera, mi sono trovato a pensare che non piacerebbe
avere un figlio come Federico Rampini: che mette le bretelle rosse, che parla
come Gianni Agnelli, che espone con finta casualità i propri libri durante i
collegamenti dal suo appartamento newyorkese. Ma soprattutto un figlio tutto
compreso dentro un’idea di libertà che a me, piuttosto, appare corrispondere a
una visione molto garbata e ripulita del concetto di élite; e se fosse figlio
mio, mio figlio non potrebbe mai appartenere ad alcuna élite, come Groucho Marx a un
club dove accettassero tra i soci un tipo come lui.
E però, ecco, subito
dopo mi sono trovato a pensare che anche Putin probabilmente non vorrebbe un
figlio come Federico Rampini – e nemmeno un figlio gay, o che si fa le canne –,
e la sua fobia occidentale (sostenuta dal patriarca di Mosca Vladimir Michajlovič Gundjaev, in arte Cirillo I), altro non è che l’arcaico
sentire che richiede ai figli di essere identici ai padri. La fedeltà alla tradizione è in fondo questo: negare
il caotico succedersi delle generazioni, il loro differire –
a volte un Leonardo da Vinci le
illumina, altre un Hitler le sconcia. Ma più spesso è una grigia staffetta di
ragionier Fantozzi e geometra Filini.
Perciò sono favorevole
all’invio di armi all’Ucraina: non perché l’Occidente, questo Occidente qui, mi
piaccia quanto a Federico Rampini, ma perché ho compreso che i figli hanno tutto
il diritto a essere diversi dai padri. Perfino quando mandano a puttane un
mondo in cui, tra infinite guerre e atrocità, si è data bellezza. Perfino quando
indossano le bretelle rosse e parlano come Gianni Agnelli.
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