Nelle mattine invernali che seguivano un’intensa nevica
notturna, i due palazzi, affiancati, al civico 10 e 8 e di via Parolo, si
popolavano di sguardi dalle finestre e dai balconi. Erano puntati al cortile
ancora coperto da un velo bianco e soffice e intonso, in attesa della Ford
Taunus del signor Pittino. Chi non aveva ancora fatto colazione si affrettava,
poi raggiungeva gli altri dopo avere indossato un indumento pesante.
Il signor Pittino era il padre di un mio amico, nel salutarli sotto la pensilina dove si trovava il bar della Pelosa, ci si andava solo in estate a prendere i ghiaccioli rossi, ciò che li differenziava era l'attributo nominale: signore, via il signore ed ecco il
mio amico, il Pittino; tanto lungo e secco quanto il padre era espanso, ne
sembrava la radiografia. Completavano la famiglia la Pittino, l'altra figlia
con i capelli a caschetto e quei tre o quattro anni più di noi, a renderla
desiderabile e misteriosa, e la moglie che si risolveva in quel vincolo
benedetto dal parroco, o in alternativa nella funzione di madre. Madre dei
Pittino, nessuno ha mai conosciuto i loro nomi di battesimo.
Intanto, qualcuno diceva di aver sentito rombare un motore nei
garage. Il più delle volte si trattava di un'anticipazione illusoria, ma prima
o poi compariva l'automobile con alla guida un omone serissimo, quasi
corrucciato, che tentava di risalire le due rampe che separano dal cancello
d'entrata, condiviso dagli edifici. Parallelepipedi un po’ anonimi, funzionali li si definiva per nobilitarli, sbocciati da un giorno con l’altro attraverso
l’impollinazione del boom economico, e abitati da quella piccola borghesia per
cui la parola futuro possedeva ancora un senso.
Due rampe solamente, dicevamo. Un'operazione semplice montando
delle normalissime catene da neve, tutti gli altri condòmini lo facevano, o i
più laboriosi e altruisti scendevano a spalare e poi spargevano il sale in
grani, in un gesto identico alla semina di cui rappresenta il corrispettivo mutato di segno: generare la
vita e cancellarne la possibilità, curiosamente la stessa figura. Una figura da
cui veniva esonerato il signor Pittino, che forse considerava entrambi i gesti
poco virili, le cose si ottengono in un agone senza dilazioni e strategie, muso
a muso con gli intralci del fato. Uomo asburgico, dai baffetti rossicci e il
riporto dello stesso colore, parlare non era il suo forte. Iniziava così lo
spettacolo.
Arrivato a metà della prima rampa o, nei tentativi più
fortunati, alla seconda o perfino al culmine, il veicolo cominciava a scivolare
indietro piano piano, l'effetto di una pellicola cinematografica a cui venga
invertita la rotazione delle bobine. Si diffondevano allora mormorii di disappunto, ma i più cinici non nascondevano un sorrisetto divertito. "Dai
Pittino, la prossima volta ce la fai!" gli urlava il ragionier Flematti
sporgendosi pericolosamente, e lui ripartiva sempre più paonazzo in viso.
Non ricordo se sia mai riuscito nell'impresa, solo il bicipite
sinistro dell'uomo; per via di una ferita di guerra si era gonfiato a dismisura
e somigliava alle braccia di Hulk. L'unica differenza è che non era verde ma
leggermente brunito, lo stesso colore della sua Taunus TC1 XL – però quella era
metallizzata, un optional ancora poco diffuso e distintivo – a intrattenere i
miei inverni quando i calendari cominciavano con il prefisso dell'Azerbaigian, e alla radio comunicavano
che era scoppiata una bomba da qualche parte lontana, confusa, ricordava lo schermo del televisore prima dell'inizio di Zorro alle 16 in punto. La vita vera era
quel cortiletto imbiancato, come lo zucchero a velo sul pandoro.
Solo lo zucchero a velo sul pandoro, vale la lettura, gli amarcord, le Taunus e le Dophine che sognavo da piccolo..
RispondiEliminaMa grazie! 😊🙏
RispondiEliminaOgni cortile dei primi Settanta aveva una Taunus. Io in viale Milano vedevo quella dello Sciolini. Quello grande. Il Paolo. Ma forse era del signor Sciolini, il quale la prestava al maggiore dei suoi numerosi figliuoli.
RispondiEliminaLuca