venerdì 4 febbraio 2011
Tema: La mia città
(Continua la pubblicazione di vecchie poesie. Questa è stata scritta più di dieci anni fa e, nella mia remota intenzione, credo fosse concepita come un pastiche infantile di Essere e Tempo di Martin Heidegger. Peccato che Essere e Tempo allora io non l'avessi ancora letto, e nemmeno oggi. Rimane dunque questa poesia, o meglio questo piccolo giocoso tema da terza elementare. Che prova ironicamente a interrogarsi sul tempo, sul rapporto tra le cose e i loro simulacri verbali, la polpa e la buccia spessa del mondo. Nel dubbio che davvero resti poco poco, quando decidessimo anche noi di mettere un filtro cromatico alla realtà...)
La mia città ha un nome brutto
e un fiume magro.
Anche il nome del fiume è brutto
come la mia città che è brutta
come il suo magro fiume.
Un tempo, da bambino, nel tempo
grasso e tondo,
il fiume della mia città cambiava
ogni giorno colore -
diventava rosso giallo blu
viola verde rosso rosa e blu.
I colori più frequenti erano
il rosso e il blu.
Una volta, tanti colori fa,
il fiume magro diventava grasso
e nero diventava come il tempo
bambino rischiava di straripare
(“tracimare”, diceva la tivù).
Poi, però, era rimasto al posto suo
come il nome della mia brutta città
e del suo fiume magro:
ogni cosa a suo posto,
tranne i colori che scorrono via.
Annamaria mi ha detto
che le cose sono di tutti i colori
tranne quel colore lì, che vediamo
ed è per questo
che viene scacciato via dalle cose
che per questo noi vediamo – non so
se Annamaria ha detto proprio così…
Comunque,
quando il tempo bambino ha iniziato
a invecchiare, a dimagrire
e a diventare spigoloso,
la mia città ha prescritto un filtro
depuratore alla sua fabbrica
dei colori, mentre i ghiaccioli
alla menta diventavano bianchi
e la Fanta appena appena giallina
e il fiume magro e chiaro
(“progresso”, “salute”, “finalmente”
diceva la tivù).
Poi c’è ancora un poi, in cui ho imparato
che il destino dei nomi è stare,
scorrono via i colori e le cose
un po’ stanno e un po’ vanno coi colori,
prima di scacciarli.
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cruda e diretta, neanche io ho mai letto Essere e tempo però ho letto, come puoi sapere, Blu Oltremare.
RispondiEliminaDolce far nulla
Un attimo fa ho dato un'occhiata nella stanza
ed ecco quel che ho visto:
la mia sedia al suo posto, accanto alla finestra,
il libro appoggiato faccia in giù sul tavolo.
E sul davanzale, la sigaretta
lasciata accesa nel posacenere.
Lavativo!, mi urlava sempre dietro mio zio,
tanto tempo fa. Aveva proprio ragione.
Anche oggi, come ogni giorno,
ho messo da parte un po' di tempo
per fare un bel niente.
...mio zio non mi ha mai urlato dietro lavativo. mi parlava invece dei suoi viaggi, quelli fatti e quelli ancora da fare. quando a me, naturalmente, non importava nulla dei viaggi di mio zio. come carver contemplavo allora una piccola sedia dentro la mia testa, e mentre lui parlava, a lungo, interminabilmente del kenya o dell'egitto o della cina, io mi sedevo in silenzio e mi facevo i viaggi i miei. così, pensavo, forse tutti quanti abbiamo una sedia dentro la testa e uno zio che, come un aeroplano arrugginito, lancia il nostro aliante nel blu oltremare della fantasia...
RispondiEliminanon è ozio fine a se stesso ma la consapevolezza di poter vedere oltre lo stato delle cose, ritagliare il tempo a misura d'uomo; sempre più raro al giorno d'oggi
RispondiEliminaIl tempo, è lui che ci guarda passare, impassibile. Ma le emozioni, i colori della nostra vita, ci permettono di vederlo tondo o spigoloso. Emozioni che diventano pensieri e pensieri che ci emozionano... e finché succede questo c'è speranza, caro Guido.
RispondiEliminagrazie Anam!
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