mercoledì 2 ottobre 2024

Mi ricordo 5

Mi ricordo quando la donna che assisteva di notte il nonno telefonò dall'ospedale, erano circa le ventuno e trenta. La prima cosa che feci fu montare sull'R4 rossa e raggiungere la nuova abitazione di mio padre; si era separato dalla mamma da pochi mesi e ora viveva in un bilocale in affitto, il telefono non era ancora stato collegato. Suonai il citofono, e quando rispose dissi soltanto: "È morto il nonno." Durante il tragitto verso la camera mortuaria rimanemmo in silenzio, era la prima volta che non inserivo un audiocassetta nell'autoradio – in quel periodo ascoltavo più che altro Bruce Springsteen, ma dopo un paio di Ceres non disdegnavo Kid Creole & The Coconuts – e comunque il silenzio era una disposizione non nuova nella nostra famiglia. O non avevamo nulla da dirci o, al contrario, ne avevamo troppe, che però stridevano tra di loro e dunque meglio chiudere il becco. Se esistesse un reparto figli all'Ikea, io non ero probabilmente il figlio ideale che mio padre avrebbe messo nel carrello, con tutto che avrebbe poi dovuto montarmi seguendo i disegnini dello schema; lo stesso avrei naturalmente fatto io, al reparto padri. E mio nonno? Si sarebbero acquistati mio nonno e mio padre, oppure anche loro erano stati accoppiati dal caso dentro un salottino troppo stretto, poco importa se Art Deco o di scandinavo minimalismo? C'è un detto popolare che lo sottolinea: i parenti non si scelgono. Arrivati di fronte alla stanzetta dove giaceva il corpo del nonno interamente ricoperto da un lenzuolo, papà entrò con passo risoluto, mentre io preferii attendere fuori. Trascorsero cinque o dieci minuti, un tempo che mi apparve enorme; per riempirlo prestavo attenzione ai dettagli sensoriali, come l'odore terroso dei crisantemi, il ronzio dell'aria condizionata utile a non fare deteriorare i corpi privi di vita, il gusto della pasta e ceci che avevo mangiato la sera a cena. Quando mio padre uscii con gli occhi umidi (ma nemmeno quella volta vidi una lacrima scorrere sulle sue guance ben rasate) lo riaccompagnai a casa con The River a bassissimo volume, come all'andata senza scambiarci troppe parole. Le strade sondriesi erano deserte malgrado il mite clima di un settembre inoltrato, dalle finestre chiuse il baluginare dei televisori accesi, da lì a pochi giorni sarebbe iniziata la raccolta delle mele, a cui sarebbe seguita quella dell'uva. Di norma un bambino gioca con i balocchi ricevuti in dono a Natale la prima settimana, poi tende progressivamente a scordarsene: o li scassa, o finiscono in solaio accanto a un vecchio paio di sci. Con i padri, pensavo, forse avviene l'opposto. Li si vede risplendere nella vetrina solo quando sono irrimediabilmente rotti.

Nessun commento:

Posta un commento