sabato 4 gennaio 2025

La guerra è bella anche se fa male


Un filmato sta facendo il giro del web. È stato girato l’anno scorso con la camera nascosta nell’attrezzatura di un soldato ucraino, ma diffuso solamente ora. Si intravede la lotta corpo a corpo che ingaggia con un militare russo, è di etnia probabilmente yakut, dunque con fattezze asiatiche. Le immagini sono confuse, almeno prima di raggiungere una specie di stallo, come quando nelle zuffe infantili qualcuno gridava arimo, versione condensata di arimortis, e ci si fermava per ripigliare fiato. Poi si ricominciava a darsela di santa ragione o, con maggior frequenza, si andava a sciacquarsi a una fontanella, valutando i danni agli indumenti più che alla faccia. Non era raro che si concludesse il tutto con un Cornetto Algida da leccare assieme.

Qui però nessun gelato è previsto, se non nelle temperature esterne durante gli scontri. Il russo è riuscito a sferrare una pugnalata che risulterà all’altro fatale, entrambi lo intuiscono. Il primo a parlare è l’ucraino, di cui non vediamo mai il volto: “Aspetta, lasciami morire in pace. Mi hai completamente squarciato.” E dopo una pausa affannata: “Lasciami respirare. Fa molto male.”

Il siberiano ha un orecchio tagliato, il sangue cola sul suo volto, l'intero ovale ne è ormai ricoperto. Replica con voce non meno ansimante: “Hai combattuto bene.”

Insiste l’ucraino: “Lasciami andare via in pace. Non toccarmi, sono finito. Lasciami morire”. Quindi si accorge di un nuovo movimento della lama: “Uomo, non ci provare! Lasciami morire... Vai via. Lasciami morire da solo, voglio andarmene da solo."

Il russo riesce a liberarsi dalla mano con cui, contraddicendo le parole appena pronunciate, l’altro rimaneva avvinghiato al suo giubbotto antiproiettile. Indietreggia. L’ucraino lo ringrazia: “Grazie. Sei il miglior guerriero del mondo”. Poi prende fiato e ripete: “Sei stato il migliore. Addio”.

“Addio” risponde il russo. Si allontana per afferrare il fucile, ma poi ritorna e domanda per l’ultima volta: “Come stai?”

“Bene. Addio.”

Il dialogo finisce qui, presentandosi già composto in forma di letteratura; anche perché ho accompagnato la visione delle immagini solamente nella prima metà, poi non ce l’ho più fatta e ho distolto lo sguardo; le frasi che riporto le ho lette in un commento giornalistico. Ed è la prima volta (e sospetto anche l’ultima) che scorrendo il giornale diretto da Mario Orfeo mi sembrava di udire la voce di Omero, oppure di essere catapultato tra le pagine di Junger. L’emozione ha generato una sorta di cambio di stato, da orrore, sgomento, è diventata bellezza. Quando Francesco De Gregori canta che “la guerra è bella anche se fa male” probabilmente si riferisce a una simile esperienza.

Nelle guerre antiche ce n’erano a migliaia di momenti così, rappresentavano un’iniziazione pratica a valori – pienamente umani – come onore, rispetto, coraggio, lealtà, abnegazione di sé verso un’ideale astratto di virtù, ad esempio la Patria. Detto per inciso, Patria, con la maiuscola, è un concetto che ora ci fa sorridere, ma non il sentire a esso implicito, per il quale il perimetro angusto dell’io non rappresenterebbe il culmine dell’evoluzione. C’è qualcosa di più grande a cui offrire (se proprio richiesto…) anche la vita, qualcosa che ci dischiude a identificazioni allargate.

Un io più esteso ma non inclusivo, ecco. Lasciamo provvisoriamente perdere le questioni di genere o le minoranze da tutelare. Possiamo chiamarlo noi, possiamo chiamarlo altro o ancora meglio non chiamarlo affatto, solo percepirlo. La bellezza della guerra sta in fondo tutta qui: è un’iniziazione percettiva, introduce alla vastità psichica innominata e priva di confini geografici, che la psicologia moderna cerca ingenuamente di marcare. Eppure Eraclito ci aveva avvertito: "per quanto tu possa camminare, e neppure percorrendo intera la via, tu potresti mai trovare i confini dell'anima: così profondo è il suo logos." 

Ma non è l’unica iniziazione possibile, penso. A maggior ragione non lo sono le guerre moderne, di cui l’episodio riportato rappresenta in fondo un anacronismo, sostituito da missili, droni, gas e altre vigliacche mediazioni tecniche, utili non a risparmiare vite umane ma a distogliere da tale percezione: che oltre l’umano consueto (quello che alle 17.30 in punto stacca il suo turno in ufficio) ci sia lo spazio per uno sfondamento. No, non è l’unica iniziazione, ne sono sempre più convinto. La guerra non è l’unico modo per squarciare l’illusione che coniuga in prima persona singolare.

Ed è allora alle nostre vite senza trauma, o trapuntate da micro traumi sprovvisti della funzione iniziatica, che il filmato dei due combattenti consegna il compito di andare oltre: oltre Caino che si scaglia contro Abele, oltre l’oltre raggiunto nel rito sacrificale, oltre la guerra insomma, scrigno di una bellezza difficilmente reperibile altrove. La loro indicazione è di non replicarli, cercando un’estensione psichica altrettanto capiente ma che non faccia male. Vivere in pace senza un’esperienza iniziatica di natura espansiva – la sola razionalità non ci è mai arrivata –, ora più che mai si dimostra sterile utopia. Le numerose guerre riaccese nel mondo ci ricordano che, per evitarle, si deve prima evitare di sostare troppo davanti allo specchio. Ogni specchio è una menzogna da infrangere, e porta sfiga non farlo.

2 commenti:

  1. Gente che s'ammazza in virtù di presunti "valori". Cazzata immensa. Onore, rispetto, "sei stato il migliore". E dietro questa frase tutta un'educazione inferta da coglioni che se ne stanno al calduccio a contare i morti e i metri conquistati. Cazzate.

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    1. Non sono d'accordo. In mancanza d'altro - e se non si fosse capito, è quell'altro a cui io auspico - la guerra è un modo per trascendersi. Il mio rispetto verso i combattenti è dunque assunto. Non sempre per le ragioni che portano a combattere.

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