Mi ricordo bene del Sanatorio Popolare Umberto I. Oltre al più celebre e imponente sanatorio di Sondalo, in Valtellina erano presenti tre altri centri di cura per la tubercolosi, il primo in ordine cronologico fu l'Umberto I. Inaugurato nel 1908 ma iniziato a costruire nel 1902, l'anno in cui Sir Arthur Conan Doyle venne nominato Baronetto, si trova a Prasomaso, una località sopra Tresivio che risponde a tutti i requisiti: buona insolazione durante l’intero ciclo delle stagioni, diffusa presenza di conifere a ossigenare l’aria da respirare sui terrazzoni (il corpo inerme con un plaid posato sulle ginocchia), accessibilità stradale e altitudine intermedia. Alla sua definitiva chiusura settant’anni dopo – ormai la penicillina aveva quasi completamente debellato la TBC –, non venne riconvertito, abbattuto, ristrutturato. Rimase semplicemente lì, a sufficiente distanza dallo sguardo per non doversi ricordare di un tempo in cui, a ogni colpetto di tosse, si guardava dentro al fazzoletto per vedere se erano presenti tracce di sangue.
I massici edifici in pietra e mattoni sono disposti in sequenza lineare, senza soluzione di continuità, lo stile liberty discreto anticipa le evoluzioni moderniste. Il tutto è oggi decrepito, vetri rotti, mobilia scassata, serramenti divelti e assi precipitate dai soffitti. Sulle pareti interne si possono leggere scritte inneggianti a Mussolini, o a una porzione circoscritta e in genere celata del corpo femminile. Abbassando di prospettiva, qualche siringa di plastica sulla maiolica scrostata dei pavimenti (dunque non appartengono al periodo né alle prassi terapeutiche) e giornaletti porno in pagine sparse; c’è anche una cacca, il cui aspetto sembra recente e di origine umana. Recente, almeno, nel tempo della narrazione, collocato una trentina di anni fa, quando attraverso un foro nella recinzione venni a visitare il Sanatorio Popolare Umberto I. Ciò che più mi colpì fu la presenza delle cartelle sanitarie dei pazienti. Dimenticate dai medici nella smania di voltare le pagine della storia, finendo così per somigliare alla fuga delle truppe americane di stanza a Saigon, in quel casino erano rimaste stranamente ordinate negli schedari. Ne estrassi una a caso e cominciai a leggere:
Dati anagrafici: Luisa X, nata a Lanzada il 7/02/1913
Data di ammissione: 15 marzo1932
Diagnosi: Tubercolosi polmonare.
Sintomi principali:
• Tosse persistente con espettorato sanguinolento
• Febbre alta e sudorazioni notturne
• Perdita di peso significativa
• Affaticamento e debolezza generale
Esame fisico:
• Crepitii polmonari bilaterali
• Diminuzione dei suoni respiratori nei lobi superiori
• Pallore e cianosi delle labbra
Esami di laboratorio:
• Test della tubercolina: positivo
• Radiografia del torace: infiltrati nei lobi
superiori
• Analisi dell’espettorato: presenza di bacilli di
Koch
Trattamento:
• Riposo assoluto in sanatorio
• Dieta ipercalorica e ricca di proteine
• Somministrazione di ioduro di potassio e calcio
• Terapia del pneumotorace artificiale
Note aggiuntive:
• La paziente mostra segni di...
Niente, a questo punto smisi di leggere e riposi la cartella clinica nello schedario, come se potesse ancora essere utile a qualcuno. Ma rimaneva una sensazione fisica strana, localizzata soprattutto nella pancia. Nel fare il tragitto in senso inverso – attenzione a non pestare la merda e le siringhe, i vetri rotti erano ovunque e le suole delle scarpe restituivano un suono sinistro a ogni passo, foro nella recinzione da traversare incurvando la schiena – mi è tornata alla mente la sequenza finale di un film uscito in quei giorni. Alla morte della madre, interpretata con commossa misura da Meryl Streep, i due figli ritrovano una scatola con il diario della donna, e una lettera a loro destinata. È così che apprendono che ha avuto una relazione con un uomo diverso dal legittimo marito, si tratta di un fotografo giunto nella contea di Madison per fotografare i tipici ponti coperti del luogo. Da qui il titolo della pellicola di Clint Eastwood: I ponti di Madison County. I figli, all'inizio imbarazzati, in particolare il maschio, comprendono infine che legge e amore hanno natura diversa. Rimettono allora la lettera nella scatola, dopo aver scoperto un tratto sconosciuto della madre che ne accresce l'unicità. E ciò che è singolare diventa tanto più prezioso.
Il bene è forse fatto allo stesso modo, soffia senza apparente ragione come il male, la sventura, la malattia. Spariglia, più che uniformare i cuori alla maniera delle pubblicità natalizie. Ma si può volere bene anche a una persona mai vista, Luisa ad esempio? Di certo possiamo immaginare il suo pallore e le labbra cianotiche – le parole sono al servizio delle immagini –, i crepitii polmonari bilaterali simili alla cadenza dei miei passi nello sfacelo, le lenzuola zuppe di sudore durante notti in cui il giorno sembra non arrivare mai; speriamo almeno che la dieta ipercalorica e lo iodouro di potassio abbiano sortito qualche effetto…
Sì concludo, si può voler bene anche a una diciannovenne nata nel 1913, quando qualche elemento irrompa a distinguerla da tutte le altre diciannovenni. Come aveva intuito Tolstoj, le famiglie felici sono tutte uguali, mentre diverse sono quelle infelici. Se ne ricava che il dolore è un formidabile differenziatore, e non è solo il naso a rendere unica Cleopatra, ma anche il morso dell'aspide. Forse per questo, senza conoscere il naso di Luisa, la lettura della sua sofferenza fisica ha creato in me una familiarità da famiglia infelice, la scatola da cui ne è emerso il fantasma rende tangibile e dolente la rappresentazione. Mentre i documentari diretti da Leni Riefenstahl nello stesso periodo, con quei pezzi di fica ariana che scoppiano di salute, fanno esercizi ginnici nella spensierata incoscienza della gioventù, mi lasciano indifferente. Sono l'infinito calco delle famiglie felici. Eppure ho avvertito il desiderio di richiudere subito la scatola, seguendo l'impulso al presente dei figli di Meryl Steep. E lasciar riposare i morti.