La differenza tra la vita e il cinema, ti dicono, è che nella prima il male accade, così, semplicemente e senza un senso, mentre nel secondo è un segno, rimanda quasi sempre a un'idea di mondo. Un mondo ammalorato, appunto, che grazie a quel segno lo spettatore si presume possa riconoscere, prendendone le distanze.
Eppure, a volte anche le storie della vita insinuano
dei segni, ma per intenderli dobbiamo guardarli come se fosse un film,
puntellato da reconditi messaggi creati ad arte dal regista, dallo
sceneggiatore e perfino dal costumista.
Immaginiamo allora per un istante che la sorella della
povera Giulia Cecchettin, Elena, sia un'attrice, e che l'orrenda felpa con la
quale ha rilasciato le interviste fosse un abito di scena, si è addirittura
parlato di satanismo. Il commento più ricorrente è però stato di
inappropriatezza: non ci si presenta in pubblico conciate a quella maniera, a
maggior ragione quando tua sorella è appena morta.
Nell'ipotetico film che interpreta, non si potrebbe
trovare migliore aggettivo per commentare l'intera vicenda: inappropriata, che
sta a significare di non proprietà, ciò che si porge non contiene l'ipoteca di
nessuno, e perciò lo si può anche revocare.
Elena Cecchettin è dunque stata davvero inappropriata,
almeno in senso letterale, come lo era la sorella Giulia: entrambe fuori dal
possesso di un solo uomo o di un'intera benpensante comunità. Di più. Tutte le
donne, ma in fondo tutti senza distinzione di genere, dovrebbero essere inappropriati,
sia nel lasciare la persona che non si ama più, sia nell'indossare indumenti di
discutibile gusto. O meglio: il proprio gusto.
L'unica proprietà che un'altra persona ha su di noi è
quella di inviare segni, a cui, a nostra volta, abbiamo proprietà di
corrispondere o meno. Quando si realizza la corrispondenza abbiamo amore,
amicizia, comunità. Diversamente, quei tizi che stanno al bancone a bere da
soli, nei pub inglesi li chiamano sad bastard.
Possiamo anche intendere l'ordine simbolico come il
codice del gruppo, e la meraviglia un'inattesa singolarità che non nuoce, ma
disorienta e fa pensare. Forse per questo Aristotele sosteneva che la filosofia
proviene dalla meraviglia. L'abbigliamento di Elena Cecchettin diviene così un
gesto filosofico meraviglioso, in cui l'abituale – andare in tivù compunti
e contriti a esibire il lutto – viene rielaborato in nuova forma. E dopo il
primo stordimento, le sono grato per avermi arruffato i pensieri.
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