L'ho rivisto ieri sera per la terza volta, e per la
terza volta ho trattenuto a stento le lacrime; massì diciamolo: qualcuna mi è
pure sfuggita sul cuscino. Importante che non mi abbia visto nessuno.
Mi riferisco all'episodio San Junipero presente
nella terza stagione di Black Mirror, si trova ancora su Netflix. Per
chi non l'avesse visto - ma vedetelo! - cercherò limitare gli spoiler,
per quanto qualcosa ci scapperà. Questo però lo posso dire senza compromettere
la sorpresa: contiene l'idea cinematografica più potente, tenera, spiazzante e,
per paradosso, plausibile vista negli ultimi anni sullo schermo.
Non è importante che la regia sia un po' televisiva,
anzi lo è totalmente, ma in senso non spregiativo, come per Stendhal che
dichiarava il suo stile letterario ispirato al Codice Civile napoleonico,
niente preziosismi da primo della classe. E così anche in San Junipero
la regia è piana e senza la ricerca di abbellimenti calligrafici, quel guarda
come sono bravo che si avverte come sotto testo di tanto cinema americano. Una
scelta in levare che fa risuonare ancora di più i dilemmi che dischiude nella
mente dello spettatore.
Intanto: è una storia d'amore, da principio
adolescenziale e sbarazzina, si potrebbe essere portati a credere di trovarci
invischiati in un teen movie. Niente di più sbagliato. Le possibilità che la
tecnologia lascia intravedere già adesso, figuriamoci tra una manciata di anni,
pongono infatti a questo amore acerbo interrogativi inediti e concreti.
Quando si dice ti amerò per sempre, ad esempio: e se
non fosse solo un'iperbole...
Lasciamo il dubbio in sospeso e torniamo a un altro
elemento recuperato dalla tradizione, qual è il tema del doppio. Qui viene
rimodulato in forma esponenziale: le due protagoniste, attenzione, cominciano
gli spoiler, sono una il doppio dell'altra, ma anche di loro stesse. Quindi
abbiamo la nostalgia verso un passato reale divenuto mitico nel ricordo: gli
anni Ottanta, e da quel ricordo la forbice si spalanca tra gioventù artificiale
e vecchiaia autentica. Entrambe sono presenti in una sincronia che imprime una
sterzata in direzione della fantascienza.
Ma saremmo fuori strada anche se pensassimo di avere
così trovato il bandolo della matassa. Viene infatti richiamato un problema ben
vivo nel presente, l'eutanasia, a cui si aggiunge quel pizzico di omosessualità
che nel cinema contemporaneo non guasta. Ma è di nuovo riletta nella
prospettiva del doppelganger: l'omosessualità non tanto, o non solo,
come ricerca esterna di un corpo di genere uguale al proprio, ma, in chiave
junghiana, di una parte diversa che sta all'interno di ciascuno, a cui l'altro
fa da specchio.
Potremmo chiamarle la parte vera e la parte falsa
reclamata dalle consuetudini sociali, la maschera professionale, e con ciò
recuperare l'alternativa tra autentico e artificiale che già abbiamo incontrato
per il tempo biografico, ponendola nuovamente in forma interrogativa.
Cosa è vero e cosa è falso se i sensi, ricreati dalla
tecno-scienza, perdono la capacità di discriminare una sostanza chiamata
realtà? E come comportarci quando questo confine diviene incerto, replicando la
scelta tra la pillola rossa e quella blu in Matrix? Con la differenza che
l'illusione qui rappresenta la via di fuga al dolore e alla
degradazione del corpo, in una sensibilità neo gnostica (di segno solo invertito) condivisa con la
pellicola dei fratelli Wachowski.
Ma alla fine è il quesito amoroso che nel finale si riprende tutta la scena, un AMORE che più maiuscolo non potrebbe essere. Siamo disposti, per tornare all'ipotesi lasciata in sospeso, a un sentimento tanto grande da sfidare il tempo in senso letterale, congelandolo dentro il loop di una manciata di canzoncine degli anni Ottanta. Ho provato a farlo con Heaven Is a Place on Earth di Belinda Carlisle, presente in colonna sonora con funzione sia diegetica che simbolica, e già al quarto ascolto mi era venuta la nausea.
Non però per questo episodio di Black Mirror,
che probabilmente riguarderò ancora. E di nuovo mi commuoverò (ben attento a
non essere visto) di fronte allo spaziare senza limite del raggio dell'amore,
di ogni amore, perfino di uno nato in discoteca con i capelli impiastricciati
di Tenax, e uno sfigato sullo sfondo che gioca a Pac-Man. Amore tra ragazze
vecchie o vecchie ragazze, distinzione che abbiamo ormai compreso rappresentare
la vera finzione. Una congiura ontologica, la chiamerebbe il filosofo
Emanuele Severino.
Ma se per lui tutto da sempre è, qui, quasi messianicamente,
è proprio l'amore a sconfiggere la morte, la tecnologia ne è solo lo strumento
attuativo. L'elemento davvero decisivo è che ci sia qualcuno disposto a bere
molti rum and cola assieme a te. Una sbornia che ha durata di eternità. Ne
siamo pronti?
L'ho visto incuriosito dalla tua rece. Sarò insensibile purtroppo, o troppo legato a canoni cinematografici tradizionali - anche quelli fantascientifici, sia chiaro - per non rimanere deluso soprattutto dall'ingenuità della costruzione, dalla difficoltà di accettare tutti gli impacciati ingranaggi di un post(anti) mortem, dal finale che vorrebbe sosprendere ma finisce per infastidire invece, per spianare la strada al più che telefonato lieto fine, stupendo, senza stupire affatto, fin dall'inizio poi, con l'abusato meccanismo del cenerentolesco step della mezzanotte.. e comunque resto consapevole che la commozione è corda personalissima e soggettiva, e che si smuova ogni tanto è sempre buona cosa, da parte mia piango irrimediabilmente ad ogni visione di La vita è meravigliosa, e l'avrò visto davvero decine e decine di volte.. ;)
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