In una recente canzone di Shakira dedicata al
“fedifrago” Piqué (il termine è quello riportato dalla maggioranza dei media,
io ne prendo semplicemente atto, sciatteria linguistica compresa, la mia
conoscenza della vicenda è proporzionale all'interesse), in questa canzone che
non ho ascoltato per pigro pregiudizio, dicevo, Shakira oppone una Ferrari a
una Renault Twingo, e un Rolex a un orologio Casio. Se ne dovrebbe ricavare che
Shakira è la Ferrari e Twingo la nuova compagna di Piqué, Shakira il Rolex e di
nuovo l’altra, la rubamariti, la terza incomoda, il Casio.
Sul fatto che l’essere abbandonati,
soprattutto per una donna, una donna bella e famosa, è quantomeno una seccatura
(una ferita narcisistica direbbe uno psicanalista) niente da dire; in fondo già
Shakespeare ammoniva che l’inferno non conosce l’ira di una donna
respinta. E poi anche gli uomini non sono nuovi al genere revenge
song. Sornione, Guccini, alludeva soltanto: “vedi cara, è difficile
spiegare, è difficile capire, se non hai capito già…” Mentre Finardi ci andava
giù pesante: “Piccola stupida stai via, piccola stupida sei via, non toccare
mai più la vita mia, stupida piccola mia.”
L’elemento di novità sta dunque nella
doppia contrapposizione tra Ferrari\Twingo e Rolex\Casio. Una vera e proprio
teoria del valore in forma condensata, un'assiologia della tarda modernità. Non
so se Shakira ne fosse a conoscenza quando ha scritto il testo – ammesso che
l’abbia scritto lei, sono poco informato anche su questo – ma è proprio un
orologio Casio quello che si intravede al polso di Papa Francesco, un modello
in vendita su Amazon a 24,50 euro. Mentre in un’altra saga mediatica gli ex
coniugi Totti si contendono dei preziosi Rolex.
Dobbiamo ricavarne che se i
ricchi indossano Rolex e guidano Ferrari, i buoni girano in Twingo e, per
vedere di non fare tardi alla messa, buttano un occhio al loro Casio?
Macché, non facciamo del moralismo, a
ciascuno in base a gusti e portafogli, nessuna polemica sulla base di una
presunzione morale che non mi sfiora. Ma è un fatto che la canzone restituisce
con pregevole esattezza un fenomeno degli ultimi decenni, potremmo così provare
a riassumerlo: non sono le risorse economiche a venire distribuite equamente,
questo l'avevamo compreso, ma le rappresentazioni ad esse connesse sì, sono
trasversali a ogni condizione di esistenza. I poveri hanno smesso di avere una
propria simbolica, con forse qualche residua traccia nell’epica criminale dei
trapper o, in Italia, in quella dolceamara dei neomelodici napoletani.
Il fenomeno è recente, abbiamo detto, ma parte da
lontano; fine anni Sessanta secondo Pasolini, che lo chiamava nuovo
fascismo. Un termine magari un po’ altisonante per indicare una vera e
propria mutazione antropologica – sono sempre parole sue –, in cui le culture
genuinamente popolari, contadine e proletarie, venivano incorporate
dall’immaginario borghese, a proiettarle verso i suoi miti di consumo. Rolex e
Ferrari, come dirlo meglio.
D’altronde, i mutamenti sociali hanno sempre trovato
nella canzone popolare un correlativo icastico, a intercettare sentimenti e
umori diffusi – e Shakira lo fa benissimo, almeno a giudicare dal successo che
ottiene. Non è nuova neppure la metafora automobilistica. In anni ancora
recenti era la Topolino Amaranto su cui Paolo Conte dichiarava di stare un
incanto; o, in alternativa, si poteva andare a prendere la propria bella a
bordo di una torpedo blu, come faceva Giorgio Gaber nell’omonima
canzone. Ma il suo riferimento al bolide sportivo era ironico, con un evidente
sotto testo: è tutta pappa di sogno, non vedete che vi stanno fregando,
vendendo l'isola che non c'è!
Ora invece la fregatura è andata a
segno, c'è chi, cartina geografica alla mano, ti mostra un puntino nell'oceano
e dice è qui, ancora poche ore di navigazione e siamo arrivati. Si è insomma
passati da un sentimento dal carattere realistico-identificativo (mi identifico
in ciò che obiettivamente mi somiglia) a un altro di segno ribaltato, ossia
irrealistico-proiettivo: mi vedo riflesso nello specchio di ciò che vorrei
essere, non di ciò che sono. A quel punto, dal momento che illudersi non costa
nulla, perché accontentarmi del Casio da due soldi del Papa, quando potrei
avere tutti i Rolex di Totti. Il verbo condizionale regge qualsiasi iperbole
del desiderio.
E poi la Twingo, dai, peggio di quel
catorcio ha saputo fare solo la Fiat Duna… No no, niente Twingo, io mi sento
come Shakira pensa la ragazza che ascolta la canzone, mi sento una tipa da
Ferrari. Prima o poi vinco la lotteria e me ne compro una tutta rossa; o magari
gialla, adesso ci penso e poi ve lo faccio sapere su Instagram. E, già che ci
sono, mi fidanzo con un calciatore. Sarò mica la sfigata che sta a casa stirare
le camicie di un impiegato alle Poste, come nelle canzoni di Umberto Tozzi.
Canzoni che sembrano scritte un milione di anni fa. Quando il pop era ancora
una fotocopia del mondo, e non il suo Photoshop.
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