Io
la conoscevo bene è il titolo di un vecchio film con Ugo Tognazzi e Stefania Sandrelli.
Un film bellissimo. E anche io lo conoscevo, certo non bene ma solo di
sfuggita, come treni che accostano alla stazione di Bologna per poi ripartire in direzioni opposte, e vai tu a capire quale dei due si stia muovendo per primo...
I nostri treni si sfiorarono trentatre anni fa alla discoteca Blow Up di Rimini, dove, insieme a un amico omonimo, stavamo stravaccati sul bancone a tracannare Gin Fizz (ma che fine ha fatto il Gin Fizz?) dopo aver superato gli esami di maturità per il rotto della cuffia. Ma all'improvviso apparve lui, la camicia nera aperta fino allo stomaco, i pendagli d'oro, seguito da un corteo di donne tutte giovani e carine. Così lo avvicinammo e gli rivolgemmo la parola, volevamo capire cosa facesse esattamente un butta dentro, come amava definirsi per contrapposizione ironica alla più comune professione del buttafuori. Ma mentre quelli sono omoni che cacciano i molesti e gli spacca maroni di ogni sorta, il mio lontanissimo conoscente, ci spiegò con distratta cortesia, col suo metro e settanta scarso di statura, i capelli lunghi e ossigenati e, insomma, la vera bellezza è altrove, intercettava le turiste straniere, per poi trascinarle all’interno del locale. Era però solo la prima tappa, continuò con accento romagnolo. La seconda consisteva nel scoparsele, e stiamo ovviamente parlando dello Zanza, al secolo Maurizio Zanfanti morto a Rimini la notte tra il 25 e 26 settembre 2018. Scopando, se a qualcuno fosse sfuggito.
I nostri treni si sfiorarono trentatre anni fa alla discoteca Blow Up di Rimini, dove, insieme a un amico omonimo, stavamo stravaccati sul bancone a tracannare Gin Fizz (ma che fine ha fatto il Gin Fizz?) dopo aver superato gli esami di maturità per il rotto della cuffia. Ma all'improvviso apparve lui, la camicia nera aperta fino allo stomaco, i pendagli d'oro, seguito da un corteo di donne tutte giovani e carine. Così lo avvicinammo e gli rivolgemmo la parola, volevamo capire cosa facesse esattamente un butta dentro, come amava definirsi per contrapposizione ironica alla più comune professione del buttafuori. Ma mentre quelli sono omoni che cacciano i molesti e gli spacca maroni di ogni sorta, il mio lontanissimo conoscente, ci spiegò con distratta cortesia, col suo metro e settanta scarso di statura, i capelli lunghi e ossigenati e, insomma, la vera bellezza è altrove, intercettava le turiste straniere, per poi trascinarle all’interno del locale. Era però solo la prima tappa, continuò con accento romagnolo. La seconda consisteva nel scoparsele, e stiamo ovviamente parlando dello Zanza, al secolo Maurizio Zanfanti morto a Rimini la notte tra il 25 e 26 settembre 2018. Scopando, se a qualcuno fosse sfuggito.
Ricapitolando.
Un uomo di sessantatre anni che per tutta la vita non ha fatto altro che
scopare – da centocinquanta a duecentoventi donne diverse per stagione, almeno nei
tempi belli – muore scopando con una ventitreenne romena. Ma quante volte l’abbiamo
già ripetuto questo verbo? Scopare. E temo che dovremo ancora scriverlo, prima di
arrivare a un provvisorio congedo dallo spettro italico dello Zanza. Non vedo
infatti altra figura che meglio di lui possa ricapitolare lo spirito nazionale;
una natura tragica, per nulla gioiosa o giocosa, e ve lo posso confermare dopo
aver intercettato la traiettoria del suo sguardo al Blow Up, che si aggirava seguendo il moto fluttuante delle luci stroboscopiche alla ricerca di nuove conquiste. Uno sguardo mite, bonario, perfino
dolce e quasi timido, niente a che vedere col mattatore variopinto che metteva
in scena. Ma ogni tanto faceva capolino quel suo demone, e come negli occhi di Gatto
Silvestro iniziava a girare una scritta: scopare scopare scopare. Anche dopo trent’anni dal nostro incontro, ancora scopare. In auto. Con una ragazzetta rumena. Finché
il cuore dice basta.
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