Per una volta abbasso l’astrazione, fuori i nomi,
vuotiamo una buona volta il sacco! E stiamo parlando di quell’immensa budella informatica che viene chiamata Facebook. Dopo qualche anno di utilizzo discontinuo,
a me sembra che le figure umane che ne affollano le pagine si possano
suddividere dentro un tradizionale decalogo. Un decalogo-catalogo in cui proverò a
indicare, quando possibile, anche l’appartenenza tra i miei contatti.
Premettendo che in ciò non vi è alcuna volontà di giudizio morale, ma sono
solamente categorie funzionali all'uso che viene fatto del mezzo.
11) Buon
Pastore
La prima tipologia che vedo
crescere di giorno in giorno, forse quella che ha più successo di lettura, e un
seguito che rasenta il tifo da stadio, potrebbe prendere il nome evangelico di
Buon Pastore.
E’ costituita infatti da persone
che, per reale talento pedagogico o, più spesso, velleità predicatoria, sono convinte di
avere un ruolo educativo nella vita degli altri. Ruolo che comunque si
assegnano d’arbitrio, non essendoci sul web alcun filtro d’accesso.
I loro interventi sono improntati a un certo paternalistico sussiego, ma non privo, alle volte, di reale
sottigliezza ed arguzia. Il tutto nel tentativo di cacciare dentro la zucca
vuota delle loro conoscenze le nozioni elementari di una buona vita, nel segno
di un moderno mood stoicista.
Lo sfondo evidentemente filosofico
è però screziato da nozioni psicanalitiche, spiritualità orientale, ricami
letterari e citazioni gnomiche. Pensando a un esempio alto, il primo nome che mi viene in mente è quello dell’editore,
filosofo e regista Andrea Colamedici, che con piglio dotto e un pizzico di benevola ironia catechizza i suoi lettori.
Oltre a lui ricordo il mio amico Gianfranco Bertagni, anche egli è filosofo e studioso di religioni comparate, gestendo un sito e una scuola dove vengono insegnate le principali tecniche meditative.
Entrambi sono molto bravi, è utile
sottolinearlo. Ma entrambi sono disposti in una posizione asimmetrica, leggermente sopraelevata rispetto al numeroso pubblico che li
gratifica. Come fare,
altrimenti, a scorgere la pecorella che si è smarrita, per riportarla all’ovile
prima che scenda la notte.
2) Legionario,
o Rancoroso di ritorno
Il riferimento, qui, è al
legionario romano che offrì al Cristo agonizzante dell’aceto misto a fiele.
Allo stesso modo, molte persone utilizzano Facebook per distillare i loro
malumori idiosincratici al mondo, in un gioco al massacro di pura e semplice
provocazione.
Penso, tra i molti, a un altro mio amico
scrittore, il “marchese” Fulvio Abbate. Anch’egli possiede un grande talento,
che però, negli ultimi anni, si è un po’ avvitato sul fuso del rancore, come quel
personaggio di un romanzo di Marco Lodoli che affonda maledicendo il mondo.
Restano a galla i suoi numerosi
post iconoclasti, in cui, indifferentemente, fa strame di bersagli politici
(Renzi e Veltroni), nemici personali (Concita De Gregorio) e icone pop (Patty
Smith). E proprio su Patty Smith è memorabile l’intervento in cui la definì un “cesso
inchiavabile”, aggiungendo che l’anziana cantante americana è sempre più simile
a un Mocho Vileda.
Nemmeno a dire che, come egli aveva
ben previsto, si sollevò un polverone di indignate proteste. Un tempo si
sarebbe detto: épater le bourgeois…
Si impegnano, come negli anni
settanta. E si indignano come negli anni novanta. Ma anche, un poco, si
divertono come negli anni ottanta, anche se non lo danno a vedere. Chi non ce l’ha,
un amico così?
Uno che pubblica sulla tua bacheca l’ultima
dichiarazione di un politico di cui nemmeno conoscevi l’esistenza, o che
incalza i suoi (spesso immaginari) interlocutori sulla geopolitica internazionale,
l’ambiente, l’economia.
Molti di loro simpatizzano con il
Movimento 5 Stelle, è inutile negarlo. Ma altri sono del Pd, berlusconiani, l’intero
scibile parlamentare è insomma rappresentato, per quanto l’Impegnato diffidi
delle categorie politiche tradizionali. E’ simile, in questo, a quel
personaggio cinematografico che faceva sbottare Nanni Moretti, mentre al
bancone di un bar di periferia sentenziava che “rossi, neri, alla fine son tutti uguali…”
Un altro esempio alto, di cui ammiro la
passione e l’impegno civile, è quello della scrittrice ebreo-polacco Helena Janeczek. E' nata in Germania ma vive in Italia da molti
anni, scrivendo dei bellissimi romanzi nella nostra lingua.
Non tutti gli
impegnati, va detto, posseggono la sua finezza di analisi, che si unisce alla
grazia nominale. Ma l’imbuto in cui incanalano la loro passione è quello lì,
che viene e porta al mondo. Non al loro ombelico come nel caso del Legionario e del Carodiarista, che vedremo in seguito.
Rapimenti alieni, scie
chimiche, lobby finanziarie, vaccini malefici, massoneria deviata e chi più ne
ha più ne metta… Di quello solo parlano. Ma non ribattergli, non farlo: tanto
lui ne saprebbe una più del diavolo e dieci più di te. Alla tua obiezione
razionale risponderebbe infatti con un sorrisetto, aggiungendo serafico: “Ingenuo…”
Le paranoie possono a volte essere di tipo alimentare (veganesimo, dieta dei gruppi sanguinei) o mistiche, sportive, virando verso il versante ossessivo. Il ceppo di appartenenza è comunque il medesimo: persone talmente comprese nel loro mondo, non di rado illusorio, da farlo diventare tutto il mondo.
Purtroppo in questo caso non ho da fare nomi, già che quando incappo in un Paranoico Complottista Ossessivo lo elimino all’istante dai miei contatti, lo elimino senza alcuna esitazione.
Purtroppo in questo caso non ho da fare nomi, già che quando incappo in un Paranoico Complottista Ossessivo lo elimino all’istante dai miei contatti, lo elimino senza alcuna esitazione.
Eppure mi stanno
simpatici, per qualche sfuggente motivo mi inducono perfino un sentimento di tenerezza.
Forse è per quella loro cocciutissima convinzione che, dietro la parete che da
bambini ne divideva la cameretta da quella dei genitori, il babbo stesse
sgozzando la mamma, e non semplicemente facendo l’amore come tutti.
Parlano sempre e
solo dei fatti propri, fedeli al monito cechoviano: “per essere universale scrivi
unicamente del tuo particolare.”
Dunque un minimo
orticello costituito, perlopiù, dai piccoli o grandi scazzi con il fidanzato (in
genere sono donne, perciò coniugo al femminile), risposte buffe dei figli ancora
in età prescolare, siparietti grotteschi in tram o sul lavoro. Oppure sono discorsi
da pizzicagnolo in formato fotografico, anzi, meglio, di selfie in cui sono sempre al centro.
Alle volte gli
interventi del Carodiarista sono gravati da una certa compiaciuta
autoindulgenza, se non addirittura egocentrismo, per quanto va ricordato che il mezzo è nato con questa vocazione: mostrare le immagini del primo bagnetto del neonato, le spalle larghe del
compagno che ti abbraccia in un esotico tramonto.
Ma ci sono pure
qui esempi virtuosi e non maldestri. Tra i miei contatti è il caso di Carlotta
Giucastro, sempre affilata e sorniona, o più emotiva e appassionata Marina
Testa. Entrambe pescano dai casi della vita oltre che dai propri sussulti ventricolari, riuscendo, quando non sopraffatte dal pungolo dell'urgenza - il Carodiarista patisce un poco la smania comunicativa -, a cavare dei bozzetti che non esiterei a chiamare letteratura, a volte anche buona letteratura.
Ma cosa fa, esattamente, un disc-jockey?
Se ci pensiamo bene, un disc-jockey non fa altro che afferrare
un disco, o più in generale un’opera dell’arte e dell’ingegno umano, non l’ha
fatta lui, e ricollocarla in un diverso contesto
ricettivo. Ma nel ridirigere il lavoro concepito da altri, il disc-jockey, almeno
in una certa misura, produce una novità. Egli inaugura infatti una nuova situazione, come avevano ben intuito i situazionisti parlando di détournement.
Il gesto del disc-jockey
è dunque molto simile al gesto dell’artista concettuale, l’artista di quella
particolare forma espressiva chiamata ready-made.
In pratica non devi fare nulla: prendi, copi e metti da un'altra parte,
incrociando le dita nella speranza che qualcuno se ne accorga.
Ma accidenti, non è
ciò che fa la maggior parte delle persone su Facebook?!
Sì, proprio
quello.
Gli esempi sono
infiniti. Vengono postati i link delle canzoni di Pino Daniele su YouTube, citazioni
dalle pagine di Massimo Gramellini e Fabio Volo, poesie di Alda Merini… Ma anche
roba “più fine”, esclusiva, snob, come Jacques Tati in un’esilarante sequenza
dalle Vacanze di Monsieur Hulot. La sostanza comunque non cambia: sempre disc-jockey
sono, siamo.
Già, perché almeno
una volta lo siamo stati tutti, dei disc-jockey. Le luci stroboscopiche, il
ritmo incalzante della musica, il fumo denso di glicerolo che esce a fiotti dalla fog machine. E noi persi nell’infinita dolce convinzione che il mondo intero penda
dalle nostre mani, il mondo appeso al disco che cala lieve sul piatto che gira, e gira gira… mentre la cubista con i capelli azzurri comincia a dimenare il culo.
“Che palle”.
E poi...
"Che palle", punto.
Come punto, è già
finito il post?!
Finito.
All’inizio mi
sorprendevo leggendo interventi del genere, e ancor più mi stupiva osservare la
lunga colonna dei commenti, i like che cascavano a pioggia ad accompagnare
questi semplici grugniti sintattici, nemmeno un verbo a indirizzare il timone che muove alla comprensione. Ma sono impazziti tutti oppure il matto sono io…?
In realtà, un po’
e un po’.
I brevi,
brevissimi, i minuscoli post eruttati a pioggia dalla figura del Laconico,
possiedono infatti un importante ruolo preverbale, ed è ciò che i linguisti
chiamano funzione fàtica. In altre
parole, le persone, comunicando, producono di tanto in tanto dei suoni (em, mmm, ah…) o delle interiezioni
(cioè, come dire, ok…) che non hanno valore semantico – non possiedono
insomma alcun contenuto, non vogliono dire niente – e il loro scopo
è piuttosto quello di mantenere attivo il canale comunicativo, o più in generale la relazione tra
i parlanti.
Chi si alza la
mattina e corre su Facebook a postare un insignificante trisillabo, non vuole
dunque solo informarci sul suo trascurabile umore, ma il vero e profondo significato sta nella volontà ristabilire
il contatto dopo la pausa notturna, verificare che i suoi "amici" non si siano
nel frattempo dimenticati di lui. "Amici" che infatti lo comprendono al volo, rispondendogli a tono: “Che palle, sì :-(” (Traduzione: anche io esisto, ricordati di me, pensami,
metti un like che mi certifichi.)
Detto ciò, non mi
convincerete mai che scrivere che palle
su Facebook possa rendere la mia vita più interessante e degna. La maggior
parte dei miei contatti la pensa però diversamente.
Come ogni villaggio,
anche il Villaggio Globale prevede la figura dello scemo, che il più delle
volte si declina al plurale. Da cosa si riconosce lo Scemo su Facebook?
Beh, facile, dal
tautologico dato che sia scemo, che scriva cose sceme, intervenga a sproposito per
commentare i vostri post con delle scemenze – l’incongruenza è uno dei segnali più certi della mancanza di cervello –, e che lo faccia introducendo un mucchio
di faccine, punti esclamativi o di sospensione.
Occhio dunque,
perché esiste un calcolo matematico che stabilisce l’indice di scemenza con
esattezza. Il risultato è dato dalla relazione proporzionale agli emoticon utilizzati e al
numero di segni di interpunzione gettati a casaccio sulla pagina. Più ne
mettete – “abbondandis abbondandum”, come diceva Totò – più siete scemi.
Se vi riconoscete
in chi scrive Ciaooooo!!!!!!! ;-) :-)))…. non avete bisogno di fare tanta fatica per scoprire chi è lo Scemo
del Villaggio. Lo Scemo, infatti, siete voi.
La prima immagine
che mi viene alla mente è quella di Calboni. Mi riferisco al geometra collega di Fantozzi, magistralmente interpretato da Giuseppe Anatrelli, che gli contende le attenzioni della signorina Silvani – modi affettati e
galanti, voce flautata, luoghi comuni a cascata. Lei, invece, la Silvani, è
quella che i francesi chiamerebbero un'allumeuse: donne che cercano di
accendere con ogni mezzo il desiderio nei maschi, ma per poi negarsi come
Circe, dopo averli tramutati in maiali.
Non ho mai svolto
lavoro continuativo in un ufficio, ma pare che, in ciascun luogo di lavoro
collettivo, sia presente almeno una coppia di tali esemplari, come mufloni allo zoo. La
grandezza di Paolo Villaggio sta anche nell’averci restituito con tale precisione
queste due figure emblematiche della modernità: il Seduttore e la Seduttrice.
Non fa eccezione
quel grande ufficio di collocamento verbale che è Facebook, dove il Seduttore e la Seduttrice
si possono riconoscere dagli stessi tratti: affettazione, galanteria,
invadenza, esibizionismo erotico (quelle foto in costume sulla battigia con gli
addominali ritratti, già avrebbero dovuto mettervi in sospetto, o l'incalzare dei selfie in cui si intravede sempre la linea interna del seno...).
Gli infiniti
Calboni e signorine Silvani telematici, in fondo, non sono però creature
malvage. Nella peggiore delle ipotesi possono scrivervi in privato per
invitarvi a trascorrere il fine settimana in Liguria, dove conoscono un “posticino”,
così lo chiamano, “un posticino delizioso…” Niente di male anche se accettate.
Ma, beninteso, ricordate che a pagare sarete voi.
10) Il Frustrato
Questo tipo umano
lo conosco particolarmente bene, incrociandolo la mattina ancor prima di
accendere il pc, mentre mi lavo i denti davanti allo specchio del bagno. Già,
il Frustrato c’est moi.
Ciò che distingue
il frustrato è il suo utilizzo di Facebook, a cui egli si accosta come se non
fosse Facebook, come se fosse un mezzo come un altro e McLhuan non avesse mai
tagliato le gambe alle sue ambizioni intellettuali: the medium is the message. Bum, per il Frustrato questa frase è peggio di
una bomba sotto la sedia, e non sorprende che non la voglia sentire, si tappi le orecchie, salmodiando qualche musichetta diversiva.
Il Frustrato, a
differenza del Seduttore o del Buon Pastore, che conoscono i loro polli e le loro pecorelle, si aggira così sulle bacheche Facebook come se ancora
fosse il vecchio ambiente comunicativo, in cui riversare nozioni e pienezza di
significato, forma e sostanza. Si sforza, insomma, si dà da fare per offrire il suo meglio, eccedendo spesso in misura. "Ma quand'è che il mondo si accorgerà di me?" sembra intanto pensare.
E dunque eccolo
lì, il Frustrato: scrive, briga, analizza e collega fatti con puntiglio e
generosità verbale, cercando di restituire al mondo la monetina che il mondo
gli ha infilato in tasca alla partenza. Ma l’albero del talento non fruttifica
su Facebook, e il Frustrato resta frustrato.
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