martedì 23 luglio 2013

Datela! (per non prenderle)



Tam tam tam... E' il solito vecchio ritmo tribale che, da alcuni giorni, complice un'estate avara di pettegolezzi, sta nuovamente attraversando la pigra logorrea delle comunità virtuali e dei rissosi social network, con la diffusione sul web di un breve filmato che non potrebbe essere più contagioso:

– L'hai visto anche tu? ;-)
– No? Guarda qui!!!
– Ma dai, wow :-0 devo correre a postarlo subito sulla mia bacheca...

E così tutti a sentirsi diversi e migliori, come quando incontri lo scemo della piazza convinto, come ogni bravo scemo della piazza, che l'intera piazza sia sua. Eppure non ci troviamo di fronte a uno sprovveduto, ma alla giovane porno-attrice napoletana Valentina Nappi, che ha un'idea piuttosto eccentrica del possesso. No, non della piazza, in questo caso, ma del proprio corpo. E in particolare di una sua minima e però rilevante porzione: la fica.

La premessa, o forse sarebbe meglio dire il MacGuffin, come Hitchcock chiamava il pretesto drammaturgico che innesca quasi casualmente l'azione successiva, sono i recenti gravi episodi di violenza sulle donne. In polemica con "le femministe" (ma sospetto che dietro il termine generico e vagamente stinto ci si voglia riferire alle dichiarazioni di Laura Boldrini), Valentina Nappi assegna ogni responsabilità alle vittime, per quanto in forma implicita – e anche questo, ci pare di averlo già sentito...

Per sgombrare il campo da ogni remota connivenza con tali fesserie, dico subito che ogni attribuzione di identità tra vittima e carnefice è chiaramente incommentabile, e da rispedire alla rozzezza intellettuale del mittente; è la stessa logica che prevede una responsabilità del popolo ebraico nello sterminio nazista, su cui non è il caso di aggiungere altro. Ma ci sono diversi aspetti della sua performance – perché di questo si tratta: arte concettuale, situazionismo non importa quanto consapevole e volontario – che denotano una certa spregiudicata sottigliezza di pensiero, oltre a una calibratissima polifonia espressiva. E in ogni caso, quella disallineata visione del possesso, e del valore, di cui ho originariamente accennato. Che si riassume nella sua affermazione:

"La violenza di genere nasce dall'idea che la donna sia preziosa".

Ma piuttosto che sull'elementarietà del cosa, proviamo a spostare lo sguardo sul come, sul modo in cui porge una diagnosi davvero poco interlocutoria. Intanto, Valentina Nappi è in bagno, i lunghi capelli castani sciolti e il volto bello ma corrucciato, indossa una canottierina bianca da cui sporgono i lembi azzurri del reggiseno, che a stento contiene quel che dovrebbe. Sta seduta. Non si vede chiaramente, ma, dal serbatoio idraulico alla sua sinistra, sembra poggiare sull'asse del water. Alle spalle la vasca ricoperta da mattonelle chiare, salviette appese, accappatoio verde e bagnoschiuma, in basso tre contenitori già avviati di detersivo. Sta seduta, dicevamo.

Sta ben piantata al suolo, al luogo, alla concretezza del pensiero. Solo le gambe, spalancate, si innalzano seguendo la curva di un punto interrogativo; quella di destra poggia sul lavandino, non ci vuole molto a capire che è senza slip. La vulva è infatti scoperta e in primo piano, depilata solo ai margini e disposta come durante una seduta dal ginecologo: prego dottore, si accomodi, si ho cambiato sellino della bicicletta, seguendo il suo consiglio... Ed è con la stessa incurante flemma che si rivolge serissima allo spettatore, gli occhi neri puntati in camera. L'incipit verbale coincide con un dato statistico (non so se verificato o meno), che vede gli infortuni sul lavoro colpire maschi adulti in novantasette casi su cento, da cui si ricava che solo un modestissimo tre percento riguarda la popolazione femminile.

Ma che c’azzecca tutto ciò, direbbe Antonio Di Pietro da Montenero di Bisaccia, con la violenza sulle donne?

Lo si comprende solo seguendo lo sviluppo del discorso, che per parte mia trovo di grande interesse. E infatti Valentina continua dicendo che se le donne vengono desiderate, quindi prese contro la loro volontà, è appunto perché sono "preziose". Ma ancora più interessante è  l'individuazione del motivo: le donne sono preziose perché hanno la fica di legno, usa proprio questa espressione, "fica di legno", a intendere una scarsa disponibilità a farne libero scambio, come fosse tintinnante moneta. Non è un caso che la valuta corrente viene anche chiamata liquidità, in contrapposizione alla stabile durezza del legno.

L’equivalenza tra sesso e denaro è dunque il nucleo tematico del suo pensiero. E infatti, ce lo insegna la teoria economica, il valore di un qualsiasi bene discende dal rapporto tra domanda e offerta, con la moneta che agisce come sostituto simbolico delle merci presenti sul mercato. La moneta, come ogni altra merce, si apprezzerà quindi in regime di riduzione della stessa (deflazione), mentre quando la valuta in circolazione è ridondante avremo l’effetto contrario (inflazione).

Lo schema del ragionamento di Valentina Nappi è lineare: le donne vengono abusate sessualmente perché molti uomini non hanno accesso al “capitale” erotico di cui loro, e solo loro, le nostre vicine di casa, amiche, compagne dispongono dopo la fine del patriarcato in Occidente. In conseguenza del riconquistato monopolio sul proprio corpo, le donne – e in particolare le nemiche giurate di Valentina, le femministe con il loro lugubre slogan: "l'utero è mio e lo gestisco io" – le donne ne hanno fatto lievitare il valore attraverso una strategia di contenimento dell’offerta, altrimenti detta "fica di legno".

Ma se ora provassimo a immaginare un'inversione strategica, come quando Alan Greenspan, all'inizio del nuovo secolo, inondò i mercati internazionali di valuta, se immaginassimo un'offerta erotica significativamente aumentata, almeno in misura della domanda, vedremmo che anche il valore (la desiderabilità) del corpo femminile inflazionerebbe, e insieme ad esso verrebbero meno gli agguati di chi si sente escluso dalla circolazione del piacere. Una deduzione dal sapore quasi sillogistico, per quanti sorrisini possiamo spargere sull'autorevolezza dell'estensore.

Senza in ogni caso sbilanciarci sul delicatissimo versante etico e delle libertà individuali, dal punto di vista economico, tocca riconoscere, il ragionamento non fa una piega. Anche perché suffragato dalla postura di cui si diceva: il sesso esposto in primo piano durante la vibrante perorazione della propria causa, con una funzione che non è paradossale, come a molti è apparso, ma analogica, di accompagnamento e conferma delle parole ben scandite. E’ infatti il primo e coerente esempio di svalutazione degli attributi femminili, come a dire:

“Guardate qui, e che ci sarà mai!, vi pare che questa fettuccina di carne molliccia possa valere tanta violenza e dolore?”

O se preferite, riprendendo la metafora da un vecchio testo di Jean Baudrillard, produce lo stesso effetto dell’oro che si trova occultato nelle casseforti e nei caveu delle banche centrali, ma in questo ipotetico caso dovrebbe essere rimosso e offerto al pubblico, libero finalmente di attingerne a piene mani. Dopo l’inevitabile calca iniziale, c’è però da immaginare che, nel giro di breve tempo, la gente perderebbe interesse per quel metallo inerte, consegnandolo a un’inevitabile svalutazione. Per questo, il video conclude con un’esortazione ultimativa:

“Datela!”

Intendendo ovviamente ciò che lei stessa, Valentina Nappi, mostra con incurante e generosa flagranza, nella più candida delle ostensioni. La fica come eucarestia laica ma insieme assegno circolare, dunque, la fica di tutti e di nessuno, libera, affrancata da qualsiasi stabile possesso, anche quello di chi ha avuto la ventura biologica di trovarsela tra le gambe. Ecco la ricetta dell'economista del sesso Valentina Nappi. Tanto che dando pane agli affamati e fica agli arrapati, ci accorgiamo che è proprio la differenza di genere – è evidente, è conseguente –  a venire automaticamente ridimensionata, o meglio ancora deprezzata.

E così irradiate da un nuovo sol dell'avvenire, o del venire e basta, del godere per dovere di pace sociale, le donne potranno finalmente morire sul lavoro in eguale proporzione dei maschi. Che è forse il vero e concreto obiettivo di tutto il suo discorso…

6 commenti:

  1. http://www.lifegate.it/it/eco/people/essere/crescita_interiore/violenza-donne-oms.html

    Ho la vaga impressione che il problema sovrasti la signorina Nappi, la sua mente e la sua passera, di parecchi metri...

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  2. la signorina Nappi, a modo suo, e cioè nei modi della drammaturgia simbolica, a me pare che abbia detto delle cose sensate, perfino logiche e conseguenti. il problema è che esistono dei temi e degli ambiti per cui logica, ragione e buon senso si dimostrano inadeguati, e che vanno dunque riconsegnati al paradosso e alla libertà. una donna che va in giro in minigonna tra capannelli di mussulmani ingrifatissimi, ad esempio, rientra in questo ambito paradossale. e per quanto mi appaia un gesto sommamente idiota, riconosco che abbia tutto il diritto di fare quel che le pare, almeno fin che non infranga il giardinetto dell'idiozia altrui. ossia di seguire quell'ossimoro che in occidente viene chiamiamo "identità personale", preziosissimo bene anche quando a disporne è una cretina, o una zoccola o comunque qualcuna che non abbia nessuna voglia di "darla", con buona pace di Valentina Nappi.

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  3. Un'ipotesi può essere perfettamente "logica", nel senso di perfettamente rispondente a una sua logica interna. Ma quando si tratta di eventi del mondo reale "l'ipotesi logica", che tenta di spiegare a posteriori gli eventi, deve anche essere "empiricamente valida". A invalidare l'ipotesi della signorina Nappi (che davvero sia "sua" o meno, non ha molta importanza) sono i numeri: una donna su tre, al mondo, subisce violenza almeno una volta nella sua vita. Nel mondo occidentale sono, in maggioranza, i "compagni di vita o occasionali" gli autori della violenza: persone che già hanno avuto accesso ai "favori" della donna-vittima. Non degli esclusi a priori. Gli "esclusi a priori" sono poche volte autori di violenza. La signorina dice cose che non si attagliano per niente ai fatti di più alta frequenza. Ora, se qualcuno vuole teorizzare nel modo più generale su una classe di fatti definibili come "violenza sulla donna" e sviluppa i suoi sillogismi a partire dalle evidenze meno frequenti, e fermandosi a quelle, non mi pare sia un gran teorete (è come dicesse che le case costruite nel tufo, in conseguenza dell'emissione di radon, sono il primo e principale responsabile del tumore al polmone, quando ogni evidenza clinica indica tutt'altro). E poi questa retorica di "colpevolizzazione della vittima" non è una novità, no?

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  4. non sono del tutto d'accordo, Roby. o meglio: lo sono, ovviamente, per il giudizio di inconsistenza riferito alla ricetta "economica" di Valentina Nappi, se davvero volessimo trasferire la sua provocazione al campo attivo della prassi. ma proprio i dati che tu ricordi a me sembra che confermino, sempre in una certa misura, e cioè con la normale oscillazione dell'infinito numero delle variabili umane, che confermino il nucleo se così posso dire "serio" della sua analisi sommaria. un pensiero che mette (implicitamente) in relazione la violenza sulle donne con la fine del patriarcato in Occidente, di cui non è difficile reperire le motivazioni. in seguito allo smantellamento, per la verità non ancora del tutto realizzato, della pretesa maschile di controllare "l'oscenità" del corpo femminile (un corpo che è "fuori-legge" già a partire dal mistero ricreativo che cova in sé), le donne finalmente libere, emancipate nei pensieri e nei gesti, si sono infatti ritrovate ad avere un potere (un "valore") aumentato dall'incalzare del desiderio dei maschi. sono insomma diventate più "preziose", come dice giustamente Valentina Nappi. e ciò non solamente in una prospettiva esterna, o estranea, di chi le veda sfilare alla distanza, come in certe fotografie seppiate dagli anni cinquanta: la bella ragazza straniera che ancheggia sul marciapiedi affollato di un paesino del sud del mondo, mentre i colli maschili si ritorcono, qualcuno sputa in terra, altri commentano sarcastici "io gli farei questo, io gli darei quest'altro, io di qui e io di là...". no, sono proprio, come tu giustamente scrivi, gli amici, i compagni o anche solo i semplici conoscenti ad avvertire con maggior disagio la parete ruvida del rifiuto (il salvadanaio dell'individualità dell'altro), scontrandosi contro il rimbalzare del propria pretesa respinta. nei termini del ragionamento economico avanzato dalla Nappi, potremmo chiamarla "domanda di beni e di servizi", non necessariamente sessuali - una donna, di punto in bianco, può ad esempio decidere che è stufa di cucinarti le lasagne o di rimboccarti le coperte o di pulirti il culo. sono quindi il corpo ma anche lo spirito femminile, grazie a dio, per carità, a non essere più dei beni o dei servizi stabilmente acquisibili e controllabili, nemmeno da padri, figli e parenti di ogni ordine e grado. ed è probabilmente questo che in molti ancora rimpiangono: un regime di monopolio, o se preferisci di servitù della gleba delle donne verso il feudo maschile. l'invito conclusivo del breve filmato - "datela!" - potrebbe così essere ritradotto in qualcosa come un'apologia della "servitù volontaria". Valentina Nappi come Étienne de La Boétie, in altre parole...

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  5. http://www.inventati.org/apm/abolizionismo/boetie/boetie.pdf

    Scusa Guido, non mi pare che il testo del Boétie sia una "apologia" della servitù volontaria. A parte ciò: sono d'accordo con le tue asserzioni salvo quella che il "discorso" della Nappi sarebbe rigoroso secondo logica. Non lo è. Non solo sul piano della consequenzialità strettamente formale, ma neanche su quello dell'implicazione materiale: non c'è alcuna prova che mostri una relazione causale tra "prevalenza del dominio patriarcale" e "diminuzione degli atti di violenza sulle donne". Sappiamo che tra gli scimpanzé avviene che le femmine calmino le risse tra maschi offrendo loro le grazie (equamente, ad aggressori e aggrediti) ma niente del genere è mai stato riportato a proposito di società umane. E quand'anche fosse - ripresa del potere della natura sulla cultura - sarebbe una azione funzionale alla "pace pubblica" cioè alla stabilità del gruppo che, dovesse mai difendersi da aggressori esterni, trarrebbe miglior vantaggio dall'avere più maschi forti e in salute anziché sciancati da scontri interni. Per quanto ne sappia io di antropologia (poco, in verità), questo tra gli umani non avviene e la violenza, o sopraffazione, sulle donne è più o meno ben distribuita nei millenni. Insisto: la Nappi conciona a vanvera riproponendo isteriche tesi da Bar Sport anni '50-'60. In forma di drammaturgia simbolica, sì. In una posizione che equipara il volto alla figa e li rende equamente espressivi (o inespressivi).

    P.S.: mi commuove che qualcuno risponda a un mio commento alle tre del mattino!

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  6. Roby, a me non sembra tanto importante - il testo di Étienne de La Boétie, intendo, che non ho mai letto e non sento nessun desiderio di farlo ora. era infatti solo un bonario gioco di parole senza alcuna pretesa argomentativa, non certo lo sgabello con cui raggiungere i piani più altri della biblioteca. avrei potuto tranquillamente riferirmi a Walser, se preferisci, che pure aveva uno strano rapporto con il principio del dovere, del servizio volontario, oppure alla cultura giapponese delle geishe. ma mi pare che un "ermeneutica" rigorosa della performance di Valentina Nappi non gioverebbe a lei - che è appunto e solo un istintiva e scaltra performer, non certo un'intellettuale - e neppure a noi, o in ogni caso a me. che ho semplicemente cercato di accostarmi a un tormentone mediatico, un fatto di costume, ormai, da una prospettiva eccentrica ma forse per ciò carica di succhi simbolici inespressi. la rappresentazione della Nappi continua infatti ad apparirmi come un'ottima sintesi iconica "dell'economia libidica", che vede la potenza del desiderio - qualsiasi sia l'oggetto verso cui si rivolge - direttamente connessa con la disponibilità a soddisfarlo. la violenza da frustrazione somiglierà così alla mano del bambino che si scontra contro la vetrina che contiene i dolcetti: e sarà "cattiva vetrina" oppure "cattivi dolcetti", quando si accorge che tra il suo desiderio e i dolcetti si pone la dogana della "legge" - l'inconscio umano è rimasto a livello della volpe con l'uva, c'è poco da fare. e forse neppure molto altro da aggiungere. se non che prendere atto di questo meccanismo (uno può leggersi tutto Freud o vedersi 2 minuti di video su YouTube - non è lo stesso ma, con un poco di intuizione, neanche troppo distante) non significa sostenere automaticamente un'economia della libera circolazione dei dolcetti, del tutto ciò che vediamo lo vogliamo e quindi lo possiamo. tantomeno quella, assai più gradita alle nostre collocazioni anagrafiche, della libera fica in libero stato, la fica per tutti come sacrosanto diritto politico. no, la fica è di chi ha la fica, di chi se la trova tra le gambe - punto. o di chi la ventura di essere indirizzatario del suo dono. tutto il resto - compreso i proclami dementi della Nappi - sono appunto e solo causerie. d’altronde cosa vuoi che uno si aspetti di leggere, in un sito che si intitola “Fontana con soldino...” ;-)

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