domenica 29 luglio 2012

Ragioneria, o sulle occasioni perse guadagnate (dedicato a Marco Lodoli)


Io, a scuola, di scuola, ho fatto Ragioneria. Come il rag. Ugo Fantozzi, chiamato Fantocci dal suo megadirettore galattico. Ma anche come il rag. Eugenio Montale, che amava dare un nomignolo a tutte le sue conquiste – Mosca, Clizia, Volpe… – e per se stesso si tenne quello più buffo e strampalato. Eusebio.

“Così poi trovi subito un posto di lavoro”, diceva mio padre. “Conosciamo un tale alla tal banca che vedrai ci dà una mano.” Io continuavo a voler fare il Liceo, come i miei amici Fabio, Vittorio e Stefano detto il Fibra, da alcuni, e Americano da altri. Mia madre non diceva niente, ma secondo me anche lei era d’accordo: “Ragioneria, almeno lì non ci stanno i figli degli stronzi.”

Gli stronzi, naturalmente, erano i ricchi, e i figli dei ricchi sono gli stronzetti che Pasolini ha cantato della sua celebre poesia su Valle Giulia: “Avete facce di figli di papà. \ Vi odio come odio i vostri papà. \ Buona razza non mente...”

A Ragioneria, la razza con cui incrociavo gli sbadigli mattutini era la piccola borghesia dei commerci, i figli dei bottegai che dovevano imparare presto a far di conto, e anche loro avevano le facce dei papà. Rubizze, grassocce, solo le dita delle mani erano sottili, per contare più sveltamente le banconote, prima che inventassero quella macchinetta che fa il rumore della fettuccia di cartone infilata tra i raggi della Saltafoss: frrrrrr.

Quando, più tardi, mi iscrissi all'università, a un colloquio di orientamento mi venne chiesto: “Ma lei è sicuro di voler iscriversi a questa facoltà…?” Si trattava del titolare della cattedra di Filosofia della storia, lo sguardo stanco che segue una mosca sulla scrivania. Poi aggiunse: “Mi dica, ecco, quando è nato Immanuel Kant?” “Milleottocento”, risposi di getto. “Massì” fece lui con un’alzata di spalle, “ha sbagliato solamente di un secolo. Di solito, quelli che arrivano da Ragioneria, lo scambiano per il marito della Barbie.” Così sollevò la dogana e mi lasciò passare sospirando, e con uno scatto inatteso spappolò la mosca con il palmo della mano.

In compenso, adesso so che Kant è nato Königsberg, nella Prussia orientale, il 22 aprile 1724, e che il marito della Barbie invece si chiama Ken, ma non è in grado di sferrare il colpo di karate come Big Jim. E so anche che prima di morire, Kant, non Ken, disse una cosa piccola piccola, ma bellissima. “Es ist gut", disse Kant, che vuol dire va bene. Poi morì.

E dunque va bene, non ho fatto il Liceo, non conosco il calcolo differenziale come Stefano, detto il Fibra, o se preferite Americano, né declinare i verbi latini come Fabio e Vittorio. Nemmeno so cosa si nasconde dietro a quell'alfabeto contorto, da cui scoccano i suoni con cui Omero, dopo essersi fermato in riva al mare in tempesta, gli occhi chiusi e un filo d'erba in bocca, ci rivela che non è blu o azzurro come ci sussurrano dei sensi fantasiosi, ma color del vino.

Ho però scordato anche la partita doppia, i pronti contro termine, gli stoccaggi, le forniture e le gambe belle delle compagne sotto i banchi, che battevano con la punta il tempo dei minuti che parevano secoli, e forse lo erano veramente. Sono insomma diventato padre di me stesso, e quando mi comporto da stronzo – lo faccio di frequente – sono quel che si dice un vero stronzo, non uno stronzo indotto, pigramente acquisito alla categoria. Una cosa per cui devo ringraziare il mio stentato titolo di ragioniere, ma soprattutto i miei genitori.

Il famoso psicanalista americano James Hillman, cranio piccolo e glabro, sguardo affilato e sornione, sosteneva che il compito dei genitori è quello di fraintendere i figli, e non come si crede quello di comprenderli. Perché solo proiettando su di essi delle fantasie intrusive, i figli, poi, reagiscono cercando la propria strada. E i miei genitori sono stati allora davvero bravi: in me hanno scorto solo il riflesso di un'Italietta misera e popolare, le rate della 600, il frigorifero Ignis. Ma grazie alla loro confusione sono potuto diventare quel che sono, come pensava un altro grande filosofo, e non chiedetemi in che giorno è nato!

Certo, quel posto nella tal banca grazie a quel tale, alla fine, è andato perso, e un mucchio di altre cose. Ma credetemi, è un privilegio anche quello di fare come il Barone di Munchausen: sollevarsi da soli per il bavero della giacchetta, e girare il mondo sopra a una palla di cannone.

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