giovedì 16 maggio 2013

Meglio all’oratorio che al Dams, o sul seme e la quercia




Leggendo le biografie dei grandi nel campo delle arti, ma quelli Grandi davvero, non è raro imbattersi in percorsi  formativi del tutto estranei alle materie in cui successivamente spiccheranno, che diventano dei veri e propri fuori pista se allarghiamo l'inquadratura all'orizzonte umano. O almeno, questa è la prima ingannevole impressione... Che ci fa sbattere le palbebre contro una quantità davvero impressionante di medici, come Cechov, Benn, Celine, Bulgakov o il già rimpianto Enzo Jannacci, ma anche chimici come Primo Levi, ragionieri (Montale), militari di carriera (Stendhal), avvocati (Paolo Conte), assicuratori (Kafka), marinai (Conrad), diplomatici (Chaucer), attori (Shakespeare), ladri (Jean Genet), assassini (Caravaggio), seduttori (Casanova), depravati (De Sade), nevrotici e psicotici e malati cronici e perfino "freaks" (Emily Dickinson, Van Gogh, Flannery O'Connor, Toulouse-Lautrec), per non dire degli intossicati dalle varie sostanze inebrianti che la natura mette a disposizione, con cui distogliere lo sguardo dal suo ghigno immenso e segreto. E questi sono davvero troppi da ricordare. Ma i più sono semplici e curiosi apprendisti della vita, per sempre fissati nella folgorante definizione di flâneur: lo stranito girovago che accarezza le superfici del mondo con pupille mobili e porose, infinitamente cantato, dopo essere stato incarnato, dalla zigzagante penna di Baudelaire.

Contrariamente a quanto ci suggerirebbe l’intuizione, anche nei saperi umanistici e addirittura nelle scienze si presentano molti tracciati estemporanei, flâneur algebrici e scarmigliati nomadi dell'intelletto. Ed è così che ritroviamo filosofi che non provengono dalle accademie (Nietzsche era un filologo classico, Carl Schmitt ha studiato giurisprudenza), impiegati dell’ufficio brevetti che stravolgono l'immagine fisica del mondo (Einstein), sacerdoti multiscienti (Pavel Florenskij) o geniali incursori come Nikola Tesla, che pur avendo frequentato la facoltà di ingegneria elettronica interruppe prima della laurea. Ma non mi viene in mente nessuno tra chi abbia completato un corso specialistico come il Dams (l’indirizzo in arte, musica e spettacolo della facoltà di Lettere), che, in seguito, si sia occupato con buon esito delle materie studiate. Tutt’al più, questi laureati finiscono alla sezione cultura e spettacoli di un settimanale femminile, o ingrossano le file dei pubblicitari con occhiali vintage dalla montatura fucsia, ospiti televisivi di professione e compunti spiluccatori ai vernissage. Gente che ancora adesso, come ai tempi del liceo, si dichiara “sensibile” –  e il bello è che lo sono per davvero…

Morale della favola, se come la maggior parte dei genitori moderni covate la fantasia che vostro figlio diventi il nuovo Leonardo, non dilapidate i risparmi di famiglia per farlo studiare in una prestigiosa scuola americana, o alla Holden di Baricco. Non che questi blasonati insegnamenti non servano a nulla, ma, in genere, sono il rifugio dei mediocri. Fitness per allenare i muscoli del talento, tutt'al più. Mentre il genio, che è cosa assai diversa, riesce comunque a fare breccia, come lo stelo d’erba tra le mattonelle del parcheggio. Quando a noi normali non viene richiesta l’eccellenza, ma essenzialmente una cosa: diventare persone per bene, oneste, leali. Mandate piuttosto i vostri figli all’oratorio, allora. Il frullo delle manopole del bigliardino, quando si mescola allo schiocco della pallina del ping pong e al ronzio delle lettere ai romani di San Paolo, in una sommessa fragranza di incensi e chinotti, ristora lo spirito molto più dei formalisti russi. E se dagli spalti di un campetto spelacchiato vedrete la vostra amata creatura scartare tutti, compreso il portiere, e andare in goal in barba agli avversari e perfino alle minime regole del buon senso, avrete assistito al più prodigioso degli spettacoli, di cui però mancherà la pagina se proverete a ricercarlo tra i manuali del Dams. Quello del seme che, con un solo bicchier d'acqua, trova la via della quercia.

martedì 7 maggio 2013

Delirium, o sulla Sinistra quando esce dal solco




    – La Sinistra italiana, se ho capito bene quel che mi sta dicendo, è costituita da un gruppo di persone che fa e dice cose mediamente di destra, si allea al governo con la principale forza di destra, rifiuta di votare, allo scrutinio per la presidenza della Repubblica, candidati che non siano consentanei alla Destra, e poi si lamenta perché perde voti a sinistra…

     – Sì sì dottore, è proprio così, ha capito benissimo. E l'ha riassunto ancor meglio. Ma c’è qualche speranza?

     – Mmmh, mi faccia pensare…

     – Non pensi troppo dottore: ci aiuti!

     – Ecco, ho trovato. Legga qui:

      “In psichiatria, il termine delirio indica una varietà di stati mentali confusionali in cui l'attenzione, la percezione e la cognizione del soggetto appaiono significativamente compromesse. In questo caso è meglio utilizzare il termine delirium. Di per sé il delirium non è una patologia quanto una sindrome (un complesso di sintomi) che può presentarsi in diverse forme, essere acuta o cronica ed essere espressione di una sofferenza metabolica del cervello che può avere molteplici cause. Il termine delirio deriva dal latino lira, solco, per cui delirare significa etimologicamente uscire dal solco, ovvero dalla dritta via della ragione”.

     – Che bravo dottore, si vede che Lei ha studiato. Lo pensavamo anche noi, ma non le avevamo mica quelle belle parole per dirlo. Ma allora, esiste anche una medicina!

     – E no, purtroppo medicine, allo stato attuale della ricerca, ancora non ne esistono. Qualche aiutino sì, questo è possibile. Ma importante è che adesso la paziente si risposi, che non si metta in testa strane idee. Ad esempio, cosa sta facendo in questo momento, qual è la sua autopercezione identitaria?

    –  Autopercezione identitaria... (?)

    – Sì, insomma, come si vede, cosa pensa di essere la Sinistra?

    – Dottore, si è infilata un catino sul capo e crede di essere il Presidente del Consiglio, sostenuto dai voti di Berlusconi. E il suo Ministro delle pari opportunità, pensa sempre la poverina, è una specie di fotomodella del Postal Market, che dichiara che gli omosessuali vanno compianti e curati…

   – Ah beh, in questo caso devo prescrivere un ricovero d’urgenza!

lunedì 6 maggio 2013

Seghe mentali, o sull’autoerotismo come fattore politico



Seghe mentali. Bisognerebbe forse rifletterci, sulla diffusione virale di questa espressione. Fino a qualche tempo fa le cose non stavano certamente allo stesso modo. Direi che anche qui, gli anni ottanta, dischiusi già a partire da quel formidabile apripista che fu John Travolta nella Febbre del sabato sera, rappresentano un punto di discrimine. Prima esisteva una specie di deferenza, per non dire subalternità culturale, verso l’esercizio consapevole e strutturato del pensiero. Che era poi ciò che faceva esclamare mio nonno con ammirazione, di fronte a un ospite particolarmente forbito a Porta a Porta: “Quel lì se vet che l’ha studiat!"

Ma facciamo un piccolo passo indietro. Nel decennio precedente il merito riconosciuto alla cultura raggiunse probabilmente il suo apice, virandola in parodia di se stessa. Pensiamo, ad esempio, alle tortuose formulazioni ideologiche della rivolta studentesca. Una stagione ipercerebrale che si riflette nello specchio deformante dei comunicati delle Brigate Rosse, in cui la concettualizzazione, già malandata, è portata ai limiti estremi e lugubri del non senso. Raggiunto il culmine dell'oscillazione, il pendolo della storia ha però bruscamente invertito di rotta, e ora si trova come bloccato all'estremo opposto. Un luogo in cui ogni sforzo mentale viene irriso, la comprensione dissuasa e vanificata.

Mi è capitato anche ieri. Incontrando un amico in compagnia della sua fidanzata, partendo da un discorso occasionale si è giunti al concetto di “non-luogo”, fortunato conio dell’antropologo francese Marc Augè, prima di inflazionare sul paginone centrale di Repubblica. A entrambi la definizione risultava però del tutto sconosciuta. Ma invece di provare interesse e curiosità per la novità appena sfiorata, lei ha sbrigativamente liquidato il tutto – il celebre studioso e il suo pensiero, il pupo con l’acqua sporca – per mezzo della solita espressione. Seghe mentali.

La prima domanda è dunque di natura linguistica: cosa intende metaforicamente significare, chi pronuncia questa frase, attraverso un giudizio sarcastico che non concede alcuna replica all'interlocutore e si accompagna in genere con un sorrisetto sghembo?

Certo, la prima risposta che ci viene è la più ovvia: una sega mentale corrisponde al gesto autoriferito del pensiero che produce piacere, narcisistico, ma non feconda la realtà, in quanto non insinua il seme attivo della trasformazione. “Fino ad ora la filosofia si è occupata di interpretare il mondo”, apostrofava Marx da sotto la lunga barba grigia, “ora è giunto il momento di cambiarlo”.

Eppure, se portiamo il ragionamento a un grado successivo – ciò che per la fidanzata del mio amico sarebbe forse già una sega mentale… – ci accorgiamo che anche nel rifiuto sdegnoso di ogni pensiero articolato si annida il medesimo vizio onanistico. Quel che viene assegnato all'espressione, verbale o scritta poco importa, è infatti una mera funzione di intrattenimento, quando non addirittura di ornamento.

Nella lunga stagione che si consacra definitivamente con l’implosione del sistema sovietico, si è insomma andata smarrendo non solo la fiducia che il pensiero possa essere un mezzo, rubricandolo a prassi edonistica di una ristretta categoria di persone (gli intellettuali), ma è andata perduta anche la tensione vitale verso un fine, che nella visione occidentale del tempo ha coinciso con la rigenerazione dei rapporti: storici, umani, economici e produttivi. Insomma, della politica.

Ed è così che scopriamo che i due termini sono comunicanti come vasi. Se non manteniamo aperta, almeno nella forma del possibile, la speranza che il pensiero filtrato dalla parola possa tornare a essere uno strumento positivo di trasformazione, assieme al termine cultura implode anche quello di politica, intesa come convinzione che il linguaggio possa agire sul mondo.

Il collasso politico di cui il berlusconismo è forse solo il riflesso, io me lo spiego anche in questo modo. Attraverso la diffusa opinione che non sia più data un’azione efficiente sulle cose, se non nella forma ludica del corpo. Lo sport oppure il sesso, ad esempio, che diviene intransitivo anche quando non masturbatorio, o di quella sua estensione rapace che è l'accumulazione capitalistica e la distrazione tecnologica. Valori che si condensano nel capannone (naturalmente condonato) gremito di attrezzi, o nelle maniche da rimboccarsi in ossequio alla mitologia padana del fare. Ma anche nei bassi che pompano in circolare processione dal rave party di Ibiza.

Tutto il resto – pensiero critico, riflessione analitica, sforzo interpretativo e slancio estetico e razionale – nella migliore delle ipotesi sono una copula tra gente che ha buon tempo. E nella peggiore, seghe mentali.

sabato 4 maggio 2013

La frase, o sull’interminabile spettacolo del berlusconismo declinante



Leggendo i resoconti giudiziari dei festini di Berlusconi, mi torna in mente un mio vecchio amico omosessuale. Lui era omosessuale e orgoglioso di esserlo, ma gli altri omosessuali non gli piacevano, non provava desiderio e tantomeno amore verso chiunque gli somigliasse. Ed è così che chiamava froci i gay, il mio amico gay, oppure finocchi checche isteriche busoni, erano questi gli epiteti con cui si esprimeva il mio amico “finocchio”, il mio amico “checca”, il mio amico che se per disavventura avesse incrociato un suo doppio, si sarebbe certo dato del “busone”.

Si era infatti appropriato dell’intero campionario del disprezzo, mentre la voce, nel porgere gli insulti, si accendeva nella nota acuta del livore. Eppure, a suo modo, era un romantico. Pigliandosi delle formidabili sbandate per ragazzi giovanissimi, e ovviamente eterosessuali, che immancabilmente lo portavano a delle altrettanto ciclopiche delusioni.

O almeno, io Berlusconi me lo immagino a questo modo: uno che odia le troie, la superficialità emotiva e la disinvoltura sessuale. In altre parole, odia se stesso. Quindi, per sviare lo sguardo dalla propria nudità, è ossessionato da una testarda e adolescienziale fantasia di purezza. Perciò vorrebbe che tutte le ragazze frequentassero i collegi delle Orsoline, trucco leggero, mocassini blu e capelli raccolti nella cupola di un casto chignon, con l’unico vezzo di una catenina d’oro da cui pende lo stemma della propria associazione di volontariato.

Ma pensiamo ora alla corte dei ruffiani, negli affollati corridoi delle sue ville, che si danno di gomito e cercano di istruire le ragazze, nel disperato tentativo di evitargli ogni incontro con lo specchio: “Aò, chiuditi quella camicetta, nun farte sgamà subito, raccontaje che cc’hai tre laure, no, tre so' troppe, due, ma una l’hai pijata a’la Sorbona…”

Con le poverette che annuiscono, sì sì, correndo subito in bagno a sbiancarsi le unghie viola, sostituendo il reggiseno leopardato con biancheria candida al profumo di mughetto. E candida anche l’anima di Berlusconi, come le lenzuola stese al sole pallido del nord, il cielo è terso e le nuvole soffici e bianchissime, potremmo essere in un film di Carl Theodor Dreyer.

Ma le lenzuola, a cinema, si trasformano facilmente in uno schermo, su cui scorre la pellicola di un’intera generazione, che è poi quella dei nostri padri. Una generazione plasmata da un'insinuante mitologia, ragazzetti magri cresciuti a pane e cinematografo, icone sportive e bionde attrici hollywoodiane, con la colonna sonora di canzonette sincopate e la carriera e il lavoro quale pedigree distintivo, da appuntarsi al bavero della giacchetta. Tutto questo – sogno americano lo si chiamava un tempo, ma sciacquato insieme ai panni in Tevere e sui navigli – Berlusconi ha saputo realizzarlo. E bisogna ammetterlo: è stato il migliore!

Ha infatti svolto il compitino talmente bene che, come il mio amico, si è dimenticato di quello che ci stava dietro al lenzuolo, i cartelloni all’ingresso, l’omino in livrea che strappa i biglietti e controlla che nessuno lo passi al compagno in attesa sotto la finestra dei gabinetti, il naso rivolto all'insù. Nemmeno fa più caso, Berlusconi, al fumo denso delle Muratti, o alla lama di luce che lo perfora partendo stretta e poi dilagando sullo schermo, era solo un puntino nella feritoia del proiezionista.

Ed è allora per un eccesso di fiducia – sospensione dell'incredulità, la chiamano nei testi di narratologia – che come il mio amico non riconosce il proprio, di sogno, né il suo volto sfatto di vecchio, continuando a vivere la vita che altri (Frank Capra, Gregory Peck, Dean Martin) hanno sognato per lui. Mentre anche la scena pubblica del Paese continua a essere solo un vecchio film.

Un film in cui mi sembra di vedere entrambi – il mio amico e Berlusconi – nelle inquadrature finali che non appartengono però al film di prima, è cambiato all’improvviso alla maniera appunto dei sogni. Ora la gente, siamo su un viale impolverato e afoso, gli grida delle cose brutte  – al mio amico dicono arruso, fru-fru, mentre a Berlusconi danno del comunista, del puzzone e gli chiedono quanto vuoi, come si fa con le baldracche sotto ai lampioni. I due però non capiscono, continuano a camminare. Palme che oscillano ai lati. Il rimmel cola dagli occhi. Con il sole che si rapprende, in fondo alla strada lunga e dritta, simile al sangue di San Gennaro.

E siamo al punto in cui sento una frase, anzi la frase, senza sapere se sia Berlusconi o il mio amico a pronunciarla, ma la odo distintamente malgrado sia solamente sussurrata e le note finali incombano, alcuni spettatori stanno già alzandosi dalle poltroncine. “E’ stato solo per amore”, dice la frase. Lo dice lui o forse l’altro: “E stato solo per amore” ripete uno dei due. Solo questo.

E forse non era il rimmel a colare dagli occhi e gocciolare in una pozzanghera, avviando dei piccoli cerchi concentrici. E forse quella frase, la frase, non l’ho mai davvero sentita, e non avrei voluto vedere questo film. Ma è uno spettacolo a orario continuato e ora ricomincia, ricomincia, ricomincia…